01/06/14

CH - 2

CORPUS HERMETICUM

— Libro II —

Discorso di Ermete ad Asclepio. Il trattato è senza titolo; nel CH prende il posto di un trattato perduto, di cui si conosce il titolo (Discorso universale di Ermete a Tat).
[1-3] Ermete illustra ad Asclepio la natura del moto e delle relazioni reciproche fra causa del moto, corpo mobile e spazio in cui il moto si svolge. Innanzitutto, ciò che è soggetto al movimento (un corpo) si muove entro qualcosa (lo spazio) e per effetto di qualcos'altro (un altro corpo). Poi, è necessario che lo spazio sia più grande del corpo che si muove, per permettere il movimento stesso. Ancora, si deve postulare che il corpo che causa il moto sia più forte del corpo mosso; che i corpi mobili siano diversi per natura dal "qualcosa" (spazio) in cui il movimento si svolge; che non ci può essere alcun corpo più grande dell'universo; che l'universo stesso è un corpo, costituito da tutti i corpi che esso contiene senza soluzione di continuità; che l'universo è un corpo mobile, e pertanto il luogo (spazio) entro cui si muove l'universo dev'essere più grande dell'universo stesso.
[1] « Tutto ciò che è soggetto al movimento, o Asclepio, non si muove forse in qualcosa e per azione di qualcosa? [...] E non è necessario che ciò in cui l’essere mobile si muove sia più grande di ciò che si muove? [...] E dunque ciò che è causa del moto non è più forte di ciò che è mosso? [...] E ciò che si muove deve necessariamente avere una natura diversa da ciò in cui si muove? [...] [2] È dunque grande quest'universo, non essendoci nessun corpo più grande di lui? [...] Ed è compatto? Infatti è pieno di molti altri grandi corpi, anzi di tutti i corpi esistenti. [...] Ma non è forse un corpo l'universo? [...] Ed è un corpo che si muove? [3] [...] Quanto grande dunque deve essere il luogo, in cui si muove l’universo, e di quale natura è dotato? Non deve forse essere molto più grande, perché possa contenere in sé il movimento continuo del mondo, e perché ciò che si muove non sia compresso dalla strettezza del luogo e non arresti il proprio movimento? [...]  »
[4-6] Ermete passa quindi a considerare la relazione fra corpi mobili e spazio, e osserva che la natura dello spazio dev'essere contraria a quella dei corpi mobili: pertanto lo spazio è incorporeo, ovvero qualcosa di divino, in quanto ingenerato; anzi, si può dire che l'incorporeo sia un aspetto di Dio stesso. Se dunque l'incorporeo è un aspetto di Dio, la sua natura pertiene al mondo dell'essenza, il mondo intelligibile (in contrapposizione al mondo della materia, il mondo sensibile): ne consegue che lo spazio è intelligibile, in quanto pertiene al mondo intelligibile, sia che lo si concepisca come ente incorporeo, quale luogo del movimento, sia che lo si concepisca come aspetto di Dio, quale attività capace di contenere tutto.
[4] « Ma di quale natura sarà questo luogo? Non sarà dunque di natura contraria a ciò che si muove, o Asclepio? E la natura contraria a quella di un corpo è l’incorporeo. [...] Il luogo, dove l'universo si muove, deve essere allora incorporeo; ma l'incorporeo è qualcosa di divino, o meglio è Dio stesso. (Per “qualcosa di divino” intendo non ciò che è stato generato, ma l'ingenerato.) [5] Se dunque l'incorporeo è qualcosa di divino, la sua natura è quella dell'essenza, se è Dio stesso, è anche privo di essenza. Inoltre è anche intelligibile, perché per noi l’intelligibile primo è Dio, ma egli non è tale per se stesso. Ciò che è intelligibile cade infatti sotto i sensi di colui che lo pensa; Dio quindi non può essere pensato da se stesso, poiché non è altro dall'oggetto pensato, per il fatto che pensa se stesso. [6] Ma rispetto a noi Dio è qualcosa di altro da noi e perciò è per noi intelligibile. Se dunque il luogo è per noi intelligibile, non lo è in quanto Dio, ma in quanto luogo. Se invece è per noi intelligibile anche come Dio, non lo pensiamo come luogo, ma come attività capace di contenere tutto. Tutto ciò che si muove, non si muove in qualcosa che è in movimento, ma in qualcosa che sta immobile. E così ciò che produce il movimento è immobile, essendo impossibile che si muova insieme a ciò che fa muovere. »
[6-9] Tutto ciò che si muove si muove in qualcosa che sta immobile: ciò che produce il movimento è immobile,1 né potrebbe essere diversamente. Asclepio obietta che nel mondo materiale i corpi mossi si muovono insieme ai corpi che li muovono: quest'ultimi non restano affatto immobili, e le sfere stesse dei pianeti sono mosse dalla sfera delle stelle fisse. Ermete precisa che l'immobilità dell'universo va intesa come bilanciamento di movimenti contrari, resi stazionari dalla reciproca opposizione; a cominciare proprio dalle sfere dei pianeti che si muovono in senso contrario a quello delle stelle fisse e traggono il loro movimento dall'assoluto equilibrio della stasi.2 Ermete porta l'esempio di un uomo che, nuotando, si contrappone alla corrente d'acqua, senza esserne trascinato via; e ribadisce che il movimento si attua nell'immobilità ed è prodotto da ciò che è immobile. Il movimento di ogni corpo materiale non proviene da cause esterne al corpo, cioè da altri corpi, ma da cause interne che operano dall'interno verso l'esterno: vale a dire dagli intelligibili, come l'anima, il soffio vitale o altri elementi incorporei.
« Come mai allora, o Trismegisto, le cose di quaggiù si muovono insieme alle cose che le fanno muovere? Tu infatti hai detto che le sfere dei pianeti sono mosse dalla sfera delle stelle fisse. »
« Non si tratta, o Asclepio, di un movimento comune, ma di un movimento contrario; non si muovono infatti nella stessa direzione, ma in senso opposto le une alle altre, e tale opposizione implica un'opposizione di movimento, che è equilibrio. [7] Infatti l’opposizione determina l'arresto del movimento. Così dunque le sfere dei pianeti, muovendosi in senso contrario a quello delle stelle fisse, traggono il loro movimento dalla stasi che è generata, nel punto di opposizione, dall'opposizione stessa, che si ha fra di loro, ed è impossibile che avvenga diversamente. [...] [8] Voglio farti un esempio che può cadere sotto i tuoi occhi. Guarda gli esseri mortali; l'uomo, per esempio, quando nuota. L’acqua è trascinata velocemente, l'opposizione dei piedi e delle mani produce per l’uomo stasi, per cui non è trascinato via dalla corrente. [...] Ogni movimento dunque si attua nell'immobilità ed è prodotto da ciò che è immobile. Il movimento del mondo e di ogni essere vivente materiale non c’è caso che provenga da cause esterne al corpo, ma da cause interne che operano dal di dentro verso l’esterno, cioè dagli intelligibili, come l'anima, o il soffio vitale o qualunque altro elemento incorporeo. Un corpo infatti non può muovere un altro corpo animato, né in generale può muovere un corpo, anche se questo è inanimato. »
 [9] « Come dici, o Trismegisto? I pezzi di legno dunque, le pietre e tutti gli altri esseri inanimati, non sono forse mossi da corpi? »
« Per niente, Asclepio, perché è ciò che si trova nell’interno del corpo che muove la cosa inanimata, e non il corpo stesso che genera il movimento di ambedue, sia del corpo che porta, sia del corpo che è portato; è per questo che un corpo inanimato non potrà muovere un altro corpo inanimato. [...] »
[10-11] Ermete prosegue negando l'esistenza del vuoto: niente di ciò che esiste è vuoto, per il fatto stesso che esiste. I vuoti che si osservano nella materia sono apparenti, sono cavità riempite di aria e di elementi sottili (come il soffio vitale).3
[10] « È necessario che il movimento dei corpi che si muovono si realizzi nel vuoto, o Trismegisto? »
« Stai attento a come parli, Asclepio! Niente di ciò che esiste è vuoto, per il fatto stesso che esiste. Ciò che è, infatti, non potrebbe essere tale, se non fosse pieno del reale; il reale infatti non può mai essere vuoto. [...] [11] [...] Non è forse un corpo l'aria? [...] E questo corpo non penetra forse attraverso tutti gli esseri e non li pervade, riempiendoli totalmente? E ogni corpo non è costituito dalla mescolanza dei quattro elementi? Dunque tutti i corpi, che tu definisci vuoti, sono pieni di aria; e se sono pieni di aria, lo sono anche dei quattro elementi e così si dimostra vero il discorso contrario al tuo: tutte le cose che tu dici piene sono vuote di aria, non avendo più spazio per accoglierla, sono riempite da altri elementi. Quelle cose che tu definisci vuote, le devi invece chiamare concave, non vuote, perché, per il fatto stesso che esistono, sono piene di aria e di soffio vitale. »
[12-13] Asclepio domanda ancora una volta che cosa sia lo spazio, e che cosa sia Dio. Ermete ribadisce che lo spazio è un essere incorporeo; e l'incorporeo è un intelletto, che nella sua totalità contiene interamente se stesso; libero da ogni corpo, impassibile, intangibile, immobile in se stesso; tale da contenere in sé tutte le cose esistenti, da mantenerle in vita; il principio primo del soffio vitale e dell’anima. Quanto a Dio, Egli non è alcuna di queste cose, ma è la causa dell'esistenza di esse, come lo è di tutte le cose esistenti. Dio dunque non è l'intelletto stesso, ma è causa del suo esistere; non è il soffio vitale, ma è causa del suo esistere; non è la luce, ma è causa del suo esistere. Egli non ha lasciato spazio alcuno al non essere, e tutto ciò che esiste deriva da ciò che esiste e non da ciò che non esiste: infatti, ciò che non esiste non possiede in sé la natura dell'esistenza, la sua natura è tale che non può mai divenire esistente; viceversa, ciò che esiste possiede in sé la natura dell'esistenza, e non può non esistere, né potrà mai.
[12] « Il discorso che hai fatto non è confutabile, o Trismegisto. Come definiremo dunque il luogo in cui si muove l'universo? »
« Un essere incorporeo, Asclepio. [...] Un intelletto, che nella sua totalità contiene interamente se stesso, libero da ogni corpo, immobile, impassibile, intangibile, immobile in se stesso, tale da contenere in sé tutte le cose esistenti, da mantenerle in vita, e i cui raggi possono essere definiti il bene, il vero, il principio primo del soffio vitale e dell’anima. [...] Dio è colui che non è alcuna di queste cose, ma la causa dell'esistenza di esse, come lo è di tutte le cose esistenti e di ciascuna di esse in particolare. [13] Egli non ha lasciato spazio alcuno al non essere, e tutto ciò che esiste deriva da ciò che esiste e non da ciò che non esiste; infatti ciò che non esiste non possiede in sé la natura dell'esistenza, ma la sua natura è tale che non può mai divenire esistente, e viceversa ciò che esiste non ha la proprietà di non esistere mai.  »
[14-17] Il discorso di Ermete si conclude con l'affermazione che gli unici appellativi che si addicono a Dio sono "buono" e "padre".4 Quanto al primo, tutti gli altri esseri sono incapaci di contenere in sé la natura del bene: non gli esseri dotati di corpo e anima (come gli uomini), né tanto meno gli esseri materiali. Sarebbe empio definire "buono" un altro essere, come sarebbe parimenti empio non definire "buono" Dio. Il bene non può essere astratto da Dio, essendo da lui inseparabile, è Dio stesso. L’essere realmente buono è quello che dona tutto e che nulla riceve; Dio dona tutto e non riceve nulla: dunque Dio è il bene, e il bene è Dio. Quanto all'appellativo di "padre", esso deriva dalla facoltà di creare tutto ciò che esiste, poiché l’attività del creare è propria del padre; da ciò consegue, inoltre, che la procreazione è la funzione più importante e più santa, e non procreare è una colpa che viene espiata con la condanna a reincarnarsi nel corpo di un essere né uomo né donna.
[14] « [...] Dio dunque non è l'intelletto stesso, ma è causa del suo esistere, non è il soffio vitale, ma è causa del suo esistere, non è la luce, ma è causa del suo esistere. Da ciò consegue che bisogna adorare Dio con questi due soli appellativi, i quali si addicono a lui solamente e a nessun altro essere. Nessuno infatti degli altri esseri chiamati dèi, nessuno degli uomini, nessuno dei dèmoni, per quanto grande sia, può essere buono, eccetto Dio. Ed egli è solamente buono e nient’altro. Tutti gli altri esseri sono incapaci di contenere in sé la natura del bene; poiché sono corpo e anima, e non hanno spazio che possa contenere il bene. [15] Tanto immensa è la grandezza del bene, quanto grande è l'esistenza di tutti gli esseri, corporei e incorporei, sensibili e intelligibili. In questo consiste il bene, in questo consiste Dio. Non definire dunque nessun’altra cosa con il termine “buono”, perché commetteresti un'empietà, e non definire Dio con altro appellativo che non sia quello di “buono”, perché anche così commetteresti un’empietà.  »
[...]

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NOTE
1 È la dottrina aristotelica del motore immobile, che è presupposto come causa di ogni movimento.
2 Questo è un principio ermetico fondamentale: la dualità di tutti i fenomeni naturali e il perfetto equilibrio delle polarità contrapposte. Nel Kybalion, tali concetti sono espressi nei due principi di Polarità e Ritmo.
3 La negazione del vuoto, che richiama l'horror vacui di ascendenza aristotelica, sembrava essere stato liquidato dalla scienza moderna, o meglio dalla fisica classica, che sullo spazio vuoto ha formulato tutte le sue leggi fondamentali; ma gli sviluppi più recenti, fondati da una parte sulla teoria della relatività e dall'altra sulla meccanica quantistica, hanno significativamente riproposto l'esigenza di postulare un continuum spazio-temporale, se non proprio una sorta di etere "rivisitato".
4 Il problema dei nomi di Dio è tema comune dell'ermetismo. Oltre agli appellativi di "buono" e "padre", qui citati, troviamo nel CH anche l'identificazione di Dio con il bello, di origine platonica; ma troviamo anche le affermazioni che Dio possegga legittimamente tutti i nomi, perché è tutto ciò che ha creato, e che all'opposto sia privo di nomi, perché assolutamente trascendente. Non si tratta di contraddizioni, ma semplicemente dei differenti punti di vista da cui si può considerare il problema.
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