30/05/14

CH - 1

CORPUS HERMETICUM

DISCORSO DI ERMETE TRISMEGISTO: POIMANDRES

Racconto di Ermete sull'incontro con Poimandres, l'Intelletto supremo.
[1-3] In un momento di meditazione profonda, appare a Ermete la visione di un essere di smisurate dimensioni, che si qualifica con il nome di Poimandres, ovvero l'intelletto divino.
[1] Un giorno, in cui riflettevo sugli esseri e il mio pensiero si era innalzato a grandi altezze, mentre i miei sensi corporei erano tenuti a freno, come accade a coloro che cadono nel sonno, dopo essersi abbondantemente saziati di cibo o dopo aver sopportato una fatica fisica, mi sembrò che una figura di smisurate dimensioni mi apparisse dinanzi e mi chiamasse per nome e mi dicesse: « ­ Che cosa vuoi udire e vedere, che cosa apprendere e conoscere con il tuo intelletto?  »
[2] E io allora: «  Tu chi sei?  ».
«  Io sono — rispose — Poimandres, l'intelletto del Sovrano assoluto, so cosa vuoi e sono totalmente a tua disposizione.  »
[3] Ed io: «  Desidero essere istruito sugli esseri, comprenderne la natura, e conoscere Dio. Come desidero ascoltarti  ».
Egli rispose: «  Tieni bene in mente tutto ciò che desideri imparare e io ti istruirò  ».
[4-6] Poimandres, attraverso una visione complessa ed enigmatica, illustra ad Ermete i principi divini: il primo principio è l'Intelletto supremo (Nous), il Padre, da cui scaturisce il Figlio, il Logos luminoso. Questi due principi si ritrovano, inscindibili, nella scintilla divina vitale che è nell'uomo: l'intelletto umano, inteso come facoltà di conoscenza intuitiva (il Sé superiore), è un riflesso dell'Intelletto di Dio Padre, mentre il Logos si riflette nella facoltà di conoscenza sensibile dell'uomo (il Sé personale).
[4] Dicendo questo mutò d’aspetto, e improvvisamente tutto mi si aprì davanti per un istante. Ed ecco mi appare uno spettacolo infinito: tutte le cose divennero  luce, visione serena  e gioiosa, di cui mi innamorai dopo averla vista. E dopo poco tempo si formò un'oscurità che prese a calare verso il basso, paurosa e cupa, diffondendosi a spirale, simile a un serpente, a quanto mi parve. Poi l’oscurità si mutò in una sorta di natura umida agitata in modo indicibile, esalante un fumo simile a quello che si alza dal fuoco, e che produceva una sorta di suono, un gemito indescrivibile.  E subito emise un grido di aiuto, inarticolato, che somigliava alla voce del fuoco. [5] Dalla luce un santo Logos si diresse verso la natura e dalla natura umida un puro fuoco si sprigionò verso l'alto: era leggero e vivo e al tempo stesso potente, e l'aria essendo leggera seguì il soffio infuocato, elevandosi dalla terra e dall'acqua verso la regione del fuoco, così da sembrare appesa ad esso, mentre la terra e l'acqua rimasero invece mescolate tra loro, indistinguibili l’una dall’altra; a esse era stato impresso il movimento dal soffio del Logos, che si era portato al di sopra di loro, fino a essere udito.
[6] [...] «  Quella luce — continuò — sono io, l'intelletto supremo, il tuo Dio, che esiste prima della natura umida emersa dall'oscurità, mentre il Logos luminoso che è scaturito dall'intelletto è il figlio di Dio. [...] Così intendi: ciò che in te guarda e ascolta è il Logos del Signore, mentre il tuo intelletto è lo stesso Dio padre. Non sono infatti separati l’uno dall’altro, poiché la loro unione è la vita.  »
[...]
[7-11] Attraverso un'altra enigmatica visione, Poimandres mostra a Ermete la forma archetipa, il principio del principio di tutto; e rispondendo a una domanda, spiega che gli elementi della natura furono generati dalla volontà di Dio ad imitazione dei loro modelli archetipi contenuti nel Logos. Dio inoltre, di natura maschile e femminile ad un tempo, generò mediante il Logos un intelletto demiurgo; il Demiurgo, dio del fuoco e dell'etere, a sua volta creò i sette ministri1 che, racchiudendo in cerchi il mondo sensibile, lo governano, e il cui governo è chiamato destino. Quando poi il Logos si distaccò dagli elementi inferiori della natura, lasciandoli come pura materia, e si unì per affinità all'intelletto demiurgo, questi impresse il movimento alle sfere cosmiche, dando origine al divenire della natura e alla generazione degli animali inferiori privi di ragione.
[7] Ciò detto mi guardò a lungo, sì da farmi tremare alla sua vista; poi, quando sollevò il capo, io vidi nel mio intelletto la luce consistente in un numero infinito di potenze, vidi sorgere un mondo infinito, vidi che il fuoco era imprigionato da una forza immensa e manteneva forzatamente l'immobilità; questo io compresi, contemplando la visione con l’aiuto delle parole di Poimandres. 
[8] Mentre io osservavo sbalordito, di nuovo mi si rivolse: «  Tu hai visto nel tuo intelletto la forma archetipa, il principio del principio, che non ha fine  », questo mi disse Poimandres.
«  Ma gli elementi della natura da dove sono sorti?  » dissi io.
Ed egli a queste mie parole disse: «  Dalla volontà di Dio, la quale, avendo accolto il Logos, e avendo visto il bel cosmo, lo imitò, disponendosi in un mondo ordinato mediante i suoi elementi e le sue creature, che sono le anime. 
[9] «  L’intelletto divino, cioè il sommo Dio, essendo di natura maschile e femminile, vita e luce al tempo stesso, generò mediante il Logos un intelletto demiurgo che, essendo dio del fuoco e dell’etere, creò sette ministri, i quali racchiudono in cerchi il mondo sensibile; e il loro governo è chiamato destino. 
[10] «  Immediatamente il Logos, distaccatosi dagli elementi inferiori, si diresse verso la pura natura creata e si unì all'intelletto demiurgo (era infatti della stessa natura), e gli elementi inferiori della natura furono lasciati privi del Logos, come se fossero pura materia.
[11] «  L’intelletto demiurgo unito al Logos, abbracciando i cerchi e imprimendo loro il movimento con stridore, fece ruotare le sue creature con un movimento che ha un inizio indeterminato e un termine senza fine, infatti inizia dove termina. La rotazione di questi cerchi fece nascere dagli elementi inferiori alcuni animali privi di ragione (poiché gli elementi inferiori non avevano più il Logos in se stessi); l’aria generò i volatili, l’acqua gli animali che nuotano; la terra e l'acqua erano state separate per volere di Dio, e la terra generò dal suo seno gli animali, che aveva in sé: i quadrupedi, i rettili, le bestie selvagge e quelle domestiche.  »
[12-15] A questo punto l'intelletto divino, il Padre, generò a immagine di sé l'archetipo dell'Uomo, a cui affidò tutte le proprie opere; e anche l'Uomo, conosciuto ciò che il Demiurgo aveva creato nel fuoco e nell'etere, volle produrre un'opera. Oltrepassate le sfere, l'Uomo discese nel mondo degli esseri mortali e degli animali irrazionali: qui la natura si innamorò della meravigliosa immagine di Dio rispecchiata nell'Uomo, e l'Uomo a sua volta si innamorò della propria immagine riflessa nell'acqua. Decise allora di dimorare nel mondo: la natura lo avvolse e si unì a lui. Per questo motivo gli uomini hanno una doppia natura: maschile e femminile, come il Padre; mortale per il corpo, immortale per l'Uomo essenziale che è in essi; soggetti al destino per quanto attiene al corpo, liberi per quanto attiene all'intelletto.
[12] «  L'intelletto, padre di tutti gli esseri, essendo luce e vita, generò un uomo simile a lui, del quale s’innamorò come della propria creatura; era infatti molto bello, poiché aveva l’aspetto del padre: in realtà Dio s’innamorò della propria immagine, e affidò all’uomo tutte le proprie opere. [13] L'uomo, avendo conosciuto ciò che il demiurgo aveva creato nel fuoco, volle anch’egli produrre un’opera, e ciò gli fu consentito da parte del padre. Giunto dunque nella sfera demiurgica, dove avrebbe avuto pieno potere, conobbe le opere prodotte dal fratello; i ministri si innamorarono di lui e ciascuno di essi lo fece partecipe del proprio stato. Avendo allora conosciuto a fondo la loro essenza e avendo partecipato della loro natura, volle penetrare al di là della superficie sferica dei cerchi e conoscere la potenza di colui che regna sopra il fuoco.
[14] «  L’uomo dunque, avendo il dominio assoluto sul mondo degli esseri mortali e degli animali irrazionali, volle sporgersi a guardare attraverso la compagine delle sfere celesti, dopo averne spezzato l'involucro superficiale, e mostrò così alla natura inferiore la meravigliosa immagine di Dio. Quando la natura ebbe visto l’uomo, che aveva in sé la bellezza che non può mai saziare e tutta la forza attiva dei ministri dei cieli insieme alla forma divina, sorrise d’amore, poiché aveva scorto nell’acqua l’immagine della meravigliosa bellezza dell’uomo e l’ombra di essa sulla terra. L'uomo, a sua volta, avendo visto questa forma simile a sé, presente nella natura, riflessa nell'acqua, fu preso d'amore per essa e volle dimorarvi. Nell'istante stesso in cui lo volle, lo realizzò e venne così ad abitare nella forma priva di ragione; la natura, avendo accolto in se l'amato, si avvolse tutta intorno a lui e così si unirono, poiché ardevano d'amore l'uno per l’altra.
[15] «  Ed è per questo che l'uomo, fra tutti gli esseri che vivono sulla terra, è l’unico che possiede una doppia natura; è mortale per il corpo, immortale per l’uomo essenziale che è in lui. È infatti immortale e domina su tutte e cose, ma si trova anche nelle condizioni degli esseri mortali ed è quindi soggetto al destino. [...] »
[16-19] Incalzato da Ermete, Poimandres spiega la generazione dell'umanità. La Natura, unita all'Uomo, generò sette uomini corrispondenti alla natura dei sette Ministri, cioè dotati di natura maschile e femminile e della potenza di elevarsi al cielo. La Vita e la Luce che era nell'Uomo divennero rispettivamente, nei sette uomini, anima e intelletto. Ora, non solo i sette uomini erano androgini, ma anche tutte le altre creature, a somiglianza dell'uomo; ma trascorsa la prima rivoluzione celeste il legame si ruppe e tutti gli esseri viventi si divisero in maschi e femmine, dando così inizio alle generazioni. Dio stesso comandò alle sue creature di crescere e moltiplicarsi; quanto agli uomini, chi era dotato di intelletto doveva conoscere tutto ciò che esiste, riconoscere se stesso immortale, e comprendere che la causa della morte è l'amore. Cosa che, afferma Poimandres, non tutti sono stati in grado di fare: alcuni, preferendo il corpo, sono rimasti nella tenebra, soggetti al dolore e alla morte.
[16] [...] Poimandres allora riprese: «  Questo, che io ti esporrò, è il mistero che è stato tenuto nascosto fino a questo giorno. La natura, quando si unì all’uomo, generò un qualcosa di mirabile e di prodigioso. Poiché l’uomo possedeva la natura del complesso dei sette ministri celesti, che, come ti ho detto, sono composti di fuoco e di soffio vitale, la natura, senza attendere un istante, generò immediatamente sette uomini, corrispondenti alla natura di ciascuno dei sette ministri, cioè dotati di natura maschile e femminile e della potenza di elevarsi verso il cielo. [...] [17] Così dunque [...] si ebbe la  generazione dei sette uomini: la terra costituì l'elemento femminile, l’acqua l'elemento fecondatore, il fuoco rese maturi i due elementi, l’etere offrì il soffio vitale, e la natura così generò i corpi, foggiandoli secondo la forma dell’uomo. L'uomo, da vita e luce qual era, si mutò in anima e intelletto: la vita divenne anima, la luce intelletto. E tutti gli esseri del mondo sensibile rimasero così fino al termine di una rivoluzione celeste, quand’ebbero inizio le generazioni. [18] [...] Compiutosi il periodo della rivoluzione, il legame, che teneva unite tutte le cose, si ruppe per volere divino. Tutti gli esseri viventi, che erano al tempo stesso di natura maschile e femminile, a somiglianza dell’uomo, si divisero in due e divennero in parte maschili, in parte femminili. Immediatamente Dio con un santo discorso disse loro: “Crescete accrescendovi, e moltiplicatevi in gran numero voi tutti, che siete stati creati e prodotti, e chi possiede l'intelletto riconosca se stesso immortale, sappia che la causa della morte è l’amore e conosca tutto ciò che esiste”.
[19] «  Dopo che Dio ebbe così parlato, la provvidenza determinò le unioni e stabilì le generazioni, valendosi dell’opera del destino e dell'ordinamento delle sfere celesti, e tutti gli esseri si moltiplicarono secondo la propria specie; e chi è stato capace di riconoscere se stesso ha raggiunto quello che è il bene prescelto da tutti, chi invece ha preferito il corpo, che è stato prodotto dall’errore dell'amore, è rimasto nella tenebra, vagando e soffrendo sensibilmente ciò che è connesso con la morte.  »
[20-23] Ermete, incalzato da Poimandres, dimostra di aver ben compreso che il destino degli uomini è una questione di affinità degli elementi: chi resta nell'ignoranza di sé, resta legato al corpo e al mondo materiale, dunque alla morte; viceversa, chi riconosce se stesso, riconosce di essere costituito di luce e vita, come il Padre, e pertanto non può che ritornare a Lui. Alla domanda di Ermete, se non tutti gli uomini siano dotati di intelletto, Poimandres risponde che l'Intelletto supremo resta presso coloro che scelgono la via della vera conoscenza e della virtù; si allontana, invece, da coloro che scelgono di restare nelle tenebre dell'ignoranza e del peccato.
[...]
[21] « [...] di luce e vita, questo è il Dio e il padre, dal quale fu generato l’uomo. Se dunque tu riconosci lui nella sua vera natura, come costituito di luce e di vita, e comprendi che tu derivi da tali elementi, ritornerai alla vita.  » Tali cose disse Poimandres.
[...]
[22] [...] «  [...] io, che sono l'intelletto supremo, sono vicino solamente a coloro che sono santi, puri, buoni e misericordiosi, e a coloro che mi venerano. La mia presenza è per loro un aiuto ed essi conoscono immediatamente tutte le cose, si rendono propizio Dio amandolo e gli rendono grazie onorandolo e dedicandogli inni in virtù dell'amore che provano per lui, e prima di abbandonare il corpo alla morte che gli è propria, hanno ribrezzo dei loro sensi, conoscendone gli effetti. Piuttosto io, l'intelletto, non permetterò che le azioni del corpo, che muovono all’assalto degli uomini, si compiano. Essendo il guardiano chiuderò le entrate alle azioni turpi e malvagie, troncandone i pensieri stessi.
[23] «  Da stolti, malvagi, perversi, invidiosi, avidi, assassini ed empi sto lontano, dopo aver ceduto il posto al dèmone vendicatore, il quale, gettando addosso all’uomo l’ardore del fuoco, lo assale attraverso i sensi e l’induce alle azioni empie, affinché abbia una più grave punizione. L’uomo non cessa quindi di avere appetiti privi di limiti; combatte nelle tenebre senza che nulla possa saziarlo, e ciò lo tortura e aumenta sempre più la fiamma che lo assale.  »
[24-27] Poimandres, richiesto da Ermete, spiega ciò che accade dopo la morte: il corpo e quella parte dell'anima sede delle passioni inferiori ritornano alla natura, dove gli elementi si disgregano e disperdono; invece, la parte superiore dell'anima e l'intelletto salgono verso le sfere celesti, oltrepassandole una ad una e liberandosi d'ogni residuo delle passioni terrene. Al termine dell'ascesa si ritrova nella sfera ogdoadica, conservando la sola propria naturale virtù, e qui si unisce ai suoi compagni, per cantare inni al Padre insieme alle potenze celesti, per divenire infine egli stesso potenza celeste ed quindi entrare in Dio. Questo dunque è l'approdo felice a cui giungono coloro che possiedono la conoscenza, conclude Poimandres, che lascia Ermete per ricongiungersi alle potenze celesti.
[24] [...] «  Quando avviene la morte del corpo, tu lo consegni all’alterazione, e la forma che tu avevi non è più visibile; poi abbandoni al dèmone il tuo essere ormai inattivo, i sensi del corpo ritornano alle proprie origini e tornano a far parte e a mescolarsi con le energie del cosmo, e infine le parti dell’anima, dove hanno sede l'ira e la concupiscenza, fanno ritorno alla natura priva di ragione.
[25] «  E così l’uomo sale verso l’alto attraverso la compagine delle sfere: nella prima zona si spoglia delle facoltà di aumentare e decrescere, nella seconda dell’abilità propria della malizia, dell'inganno ormai privo di effetto, nella terza abbandona il vano desiderare divenuto ora inefficace, nella quarta l'ostentazione del comandare ormai priva di avidità, nella quinta l'audacia empia e la temerarietà dell'ardire, nella sesta i disonesti appetiti generati dalla ricchezza, ormai vani, nella settima, infine, la menzogna ingannatrice. [26] E così, spogliato di ciò che era stato opera delle sfere celesti, si dirige verso la natura ogdoadica, mantenendo solamente la propria naturale virtù, e insieme agli altri esseri innalza inni a Dio. I presenti si rallegrano della sua venuta ed egli, divenuto uguale ai suoi compagni, può ascoltare alcune potenze che, al di sopra della natura ogdoadica, cantano con dolce voce inni al padre. Poi in ordine salgono verso Dio, consegnano se stessi alle potenze, e, divenuti essi stessi potenze, entrano in Dio. Questo è l’approdo felice a cui giungono coloro che possiedono la conoscenza: divenire Dio. E allora, che aspetti? Non ti prepari dunque, tu che da me hai appreso tutte le cose, a fare da guida a coloro che ne sono degni, affinché il genere umano per mezzo tuo possa essere salvato da Dio?  »
[...]
[27-30] Dopo di ciò, Ermete cominciò a predicare fra gli uomini il messaggio ricevuto da Poimandres: alcuni si allontanavano imprecando contro di lui; altri lo seguirono chiedendo di essere istruiti.
[...]
[30] Quanto a me, impressi nel mio cuore i benefici insegnamenti di Poimandres, e così, dopo essermi saziato di ciò che desideravo, fui completamente felice. Il sonno del mio corpo era infatti divenuto veglia dell'anima, i miei occhi chiusi mi concedevano una visione veritiera, il mio silenzio conteneva in sé il bene, l'esprimere parole era un generare cose buone. Tutto questo mi accadde, perché avevo ricevuto dal mio intelletto, cioè da Poimandres, il Logos del sommo Sovrano. Sono venuto dunque pieno del soffio divino della verità. [...]
[31-32] Il trattato si conclude con un'eulogia a Dio.2

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NOTE
1 I sette ministri sono i sette pianeti che, secondo un tema molto comune nello stoicismo, governano il mondo sensibile.
2 Eulogia è la trasposizione letterale del termine greco e definisce la preghiera ermetica.
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29/05/14

CORPUS HERMETICUM - INTRODUZIONE

Quando i Greci entrarono in contatto con l'Egitto, molte loro divinità furono identificate con divinità egizie: fra queste Thoth, assimilato all'Hermes dei Greci. Se Thoth degli dèi era lo scriba, Hermes ne era il messaggero, funzioni entrambe legate alla parola divina da registrare e riferire. Parallelamente, Hermes come Thoth fu sempre considerato l'inventore di tutte le scienze e le arti pratiche, come la scrittura, la medicina, la magia, l'astronomia e altre. All'inizio dell'era cristiana si attribuisce a Hermes la funzione di profeta di Dio, portatore del Logos divino, dove il termine Logos, in un'accezione conferitagli dalla speculazione stoica, sta a significare l'espressione dell'intelletto divino creatore che pervade tutto l'universo, e di cui l'intelletto umano rappresenta una scintilla.
In seguito i Greci distinsero l'Hermes tradizionale greco da quello sincretico di origine egizia, indicando quest'ultimo col duplice nome di Ermete Trismegisto, dove Trismegisto ("tre volte grande") è un epiteto elogiativo ricavato dal superlativo dell'aggettivo greco megistos. A Thot, quale inventore della scrittura, erano attribuiti i libri più antichi esistenti in Egitto, e così Ermete Trismegisto è considerato dalla tradizione l'autore della letteratura religiosa egizia.
I più antichi documenti della letteratura ermetica, a noi pervenuti, sono in lingua greca; risalgono alla prima metà del I secolo d.C. e sono di argomento astrologico. Nulla sappiamo dell'esistenza di scritti ermetici in lingua egizia. Di una letteratura ermetica filosofica o teosofica si comincia a parlare diffusamente dal II secolo d.C. Di questa letteratura ci è pervenuto un complesso di scritti di cui fanno parte il Corpus Hermeticum, l'Asclepio, la traduzione latina di un "Discorso perfetto" e infine gli estratti compilati da Stobeo.
I diciassette trattati che costituiscono il CH ci sono pervenuti attraverso una ventina di manoscritti del XIV, XV e XVI secolo, che risalgono tutti al medesimo archetipo, composto probabilmente fra il VI e il IX secolo d.C. in ambito culturale bizantino. L'Asclepio invece ci è pervenuto insieme alle opere di Apuleio ed è stato dapprima erroneamente attribuito a lui.
La diversità di forma e contenuto dei vari trattati che costituiscono il CH dimostra chiaramente un'origine non unitaria, ma il comune carattere devozionale spinse il compilatore a riunirli in un unico corpus. Due sono le tesi fondamentali circa l'origine e la paternità dei testi ermetici: c'è chi ipotizza che siano sorti all'interno di sette o confraternite ermetiche, allo scopo di raccogliere gli insegnamenti della dottrina (Reitzenstein); c'è invece chi esclude la possibilità di stabilirne la precisa paternità (Festugière). La seconda tesi sembra più credibile, per vari motivi: il carattere non unitario del CH; l'esposizione di dottrine in qualche caso opposte e contraddittorie, che ne tradisce la varia provenienza; la mancanza di indicazioni circa un rituale misterico per i fedeli. Difficile dunque pensare al CH come alla Sacra Scrittura di una setta religiosa; piuttosto, possiamo dire che il fenomeno della letteratura ermetica rientra in una moda letteraria del tempo, per cui si attribuiva a Ermete Trismegisto tutto quanto era considerato scienza occulta. In tal modo, lo pseudonimo di Ermete ha designato una corrente di pensiero, un movimento, come altre volte è accaduto sotto la paternità di altri profeti, persiani o caldei, ebrei o indiani. La stessa somiglianza di questa letteratura con altre contemporanee e vicine di genere profetico, e l'utilizzo di luoghi ed espressioni comuni a tutta la letteratura religiosa dell'epoca imperiale e del tardo ellenismo, fanno pensare piuttosto ad un fenomeno storico-letterario, che all'esposizione di una precisa liturgia.
Questi testi contengono scarsi elementi di ascendenza egizia, per cui difficilmente si può pensare che risalgano ad una fonte egiziana come rivendicato dagli ignoti autori. Piuttosto questi scritti, come tutta la letteratura filosofico-religiosa del tempo, presentano, mescolati fra loro, elementi platonici, aristotelici e stoici, insieme a qualche traccia di misteriosofie orientali, più iraniche che egizie; hanno inoltre molte somiglianze con gli scritti dell'orfismo, gli oracoli dei Caldei e numerosi testi dello gnosticismo cristiano.
In questo carattere composito e frammentario, in questa varietà di temi di elementi, si può ritrovare un costante atteggiamento di pensiero che costituisce l'aspetto unitario di tale complesso di scritti: la conoscenza intesa come rivelazione, la filosofia come scienza della rivelazione, che, secondo le parole di Ermete, « consiste nel solo desiderio di conoscere più profondamente la divinità mediante una contemplazione incessante e una santa devozione ».
È impossibile trovare un'impostazione unitaria che giustifichi e spieghi la giustapposizione di dottrine diverse e per qualche aspetto contraddittorie, né si può ricavare dal complesso degli scritti ermetici le linee di un sistema filosofico. Quel che cercheremo di fare in questa sede è di affrontare la materia evidenziando alcuni concetti chiave e illustrando come questi siano stati sviluppati nei vari trattati, seguendo principalmente l'esposizione del Poimandres che è il più organico e completo.

Divinità e cosmogonia

La concezione di una divinità trascendente è il punto di partenza della dottrina ermetica, come del platonismo del tempo: è derivata direttamente da Platone, il quale ha spesso identificato Dio con il supremo intelligibile, con l'idea del bene e del bello (cfr. Simp. 211a, Fedro 247e, Parm. 138a). Dio dunque, per gli ermetici, è l'Intelletto supremo, il Νοῦς (Nous — "intelletto"), il Padre, avente duplice natura maschile e femminile, e pertanto in grado di generare da solo. Questa concezione di Dio dotato di doppia natura, femminile e maschile, è molto comune nella letteratura filosofico-religiosa del tempo: si ritrova nei neoplatonici, negli gnostici, nell'orfismo ed è strettamente connessa con l'altra concezione fondamentale, per cui la natura propria e peculiare di Dio è il generare. Pure, la nozione di Dio come incorporeo è un luogo comune della filosofia del tempo.
Alla fondamentale concezione della divinità trascendente, che possiamo definire negativa, perché giunge a definire Dio attraverso una serie di negazioni (Dio è ineffabile, invisibile, incorporeo, innominabile, inconcepibile nello spazio e nel tempo, privo di desideri e bisogni etc), la dottrina ermetica fa seguire la concezione per cui Dio è il Tutto e l'Uno da cui ha origine ogni cosa, ogni essere, ogni creatura: Dio è il creatore e il Padre che si identifica totalmente con il prodotto della sua creazione; pertanto Dio è visibile e conoscibile attraverso il mondo, anzi, Dio vuole essere conosciuto dall'uomo quale sommo artefice e ordinatore dell'universo, il κόσμος (Cosmos — "ordine"). Non c'è contraddizione fra le due concezioni di Dio, perché si tratta di due aspetti dello stesso principio: il Nous è Dio non manifestato e l'universo è la manifestazione di Dio. Questa duplice concezione di Dio si ritrova del resto in tutte le tradizioni realmente esoteriche. Nella Kabbala Ain Soph Aur ("luce senza fine") è Dio prima della sua manifestazione, prima cioè dell'emanazione delle dieci sephirot (cfr. Zohar). Nella filosofia vedica un significato analogo è espresso dal termine sanscrito Brahman, la realtà immutabile e infinita oltre e dietro gli universi (cfr. Upanishad).
Il Poimandres spiega dettagliatamente come la manifestazione di Dio nel creato avvenga attraverso esseri intermedi. Innanzitutto il Padre, il Nous, genera il Figlio primogenito, il Λόγος (Logos — "enumerazione", "discorso", "ragione", "legge universale") e quindi un intelletto demiurgico, secondogenito ma consustanziale rispetto al primo. La volontà del Padre attua la creazione tramite l'intelletto demiurgico, traendo dal Logos i modelli archetipali degli elementi, delle cose e degli esseri che andranno a popolare l'universo. È l'intelletto demiurgico, illuminato dal Logos, l'artefice e l'ordinatore dell'universo; anzi, il Demiurgo è il corpo stesso dell'universo, poiché s'identifica interamente nella sua creazione. Anche la nozione di Demiurgo è evidentemente di derivazione platonica (cfr. Timeo), mentre il Logos ermetico è assimilabile quello tradizionale degli Stoici, la ragione divina creatrice che permea l'universo. A questo proposito, c'è da osservare che per l'ermetismo ha luogo un duplice rispecchiamento di Dio nell'uomo: se il Nous si riflette nell'intelletto umano e nella facoltà di conoscenza intuitiva, a sua volta il Logos si riflette nella ragione umana e nella facoltà di conoscenza sensibile. Confrontando tale nozione con concetti analoghi ravvisabili in altre tradizioni filosofiche, quale quella indiana, si potrebbe dire che il Nous si riflette nel Sé superiore dell'essere umano (il veicolo buddhico o Buddhi), mentre il Logos si riflette nel Sé personale (il veicolo mentale o Manas).
Dalla duplice concezione della divinità suprema (la coppia Padre/Nous – Figlio/Logos) deriva la duplice concezione della conoscenza di Dio: il Dio trascendente è oggetto della sola gnosi (tramite l'intelletto); mentre il Dio-Demiurgo, identificandosi con la sua stessa creazione, si conosce attraverso il mondo (tramite la ragione). È importante inoltre evidenziare che, per il pensiero ermetico, Dio non può conoscere se stesso, in quanto in quanto ogni forma di conoscenza implica una dualità tra soggetto e oggetto, mentre Dio è uno. Ne consegue che l'uomo è la via attraverso la quale la creazione può giungere a conoscere la sorgente della creazione stessa: una visione, questa, affine a quella sviluppata dalla letteratura teosofica (da H. P. Blavatsky, a A. P. Sinnett, a A. Besant e altri). 
Il livello divino della cosmogonia ermetica si completa con gli dèi. Creati dal Demiurgo, gli dèi sono esseri, di natura androgina, intermedi fra la triade divina superiore e l'uomo. Chiamati "i sette ministri" nel Poimandres, corrispondono ai sette pianeti che, secondo un tema molto comune nello stoicismo, governano il mondo sensibile, ciascuno con un proprio specifico compito. Tale governo è definito εἱμαρμένη (heimarmene — "destino"), la legge di necessità a cui nessuna azione umana può sottrarsi, e che si oppone alla πρόνοια (pronoia — lett. "che sta davanti all'intelletto", la provvidenza divina), la cui natura è invece razionale.

Uomo e Natura

Dopo aver completato la creazione del cosmo, con i sette ministri che lo governano, e dopo aver impresso movimento al divenire della Natura, l'intelletto divino, il Padre, genera a immagine di sé l'archetipo dell'Uomo, il quale, conosciuta l'opera del Padre, vuole a sua volta produrre un'opera meravigliosa. L'Uomo allora prende dimora nel mondo e si unisce alla Natura, generando sette uomini, di natura androgina, come pure tutte le altre creature in questa prima fase della creazione. Solo trascorsa la prima rivoluzione celeste il legame fra le due nature, maschile e femminile, si rompe e tutti gli esseri viventi si dividono in maschi e femmine, dando così inizio alle generazioni. Per mezzo degli dèi, il Padre pone un'anima in ogni corpo. Compito degli uomini è crescere e moltiplicarsi; dominare tutto ciò che esiste sotto il cielo; conoscere e contemplare la natura e Dio; discernere le cose buone dalle cattive; scoprire le arti per creare le cose buone.
L'uomo, fra tutti gli esseri che vivono sulla terra, è l'unico che possiede una doppia natura: mortale per il corpo, immortale per l'essere essenziale che è in lui. La distinzione fra essenza e materia è eredità del dualismo platonico fra mondo intelligibile e mondo sensibile. L'essenza designa l'essere vero, sempre identico a se stesso, non soggetto alla legge del divenire. Del mondo dell'essenza fanno parte Dio, l'Intelletto, gli intelligibili; del mondo della materia, invece, tutto ciò che è corporeo. Conseguentemente si ha l'opposizione fra i termini derivati (uomo) "essenziale" e "materiale". Il primo termine designa l'uomo che vive conformemente alla sua vera natura, la natura divina, ed esalta la parte divina dell'uomo, l'anima, o meglio la parte più pura dell'anima che è l'intelletto. Il secondo termine designa l'uomo che vive come essere corporeo, confinato a quella parte dell'essere umano che è materia, il corpo appunto. Delle due parti di cui l'uomo è costituito, la parte essenziale è semplice, mentre quella materiale è quadruplice (cioè composta attraverso i quattro elementi).
Il tema della duplicità di natura e di origine dell'uomo è molto comune nell'ermetismo e costituisce motivo di superiorità dell'uomo su tutti gli altri esseri. Infatti, Dio ha creato l'uomo terreno attraverso l'uomo essenziale, l'archetipo dell'uomo, generato a immagine di sé: ciò permette di affermare che l'uomo è di natura divina. Tutti gli uomini hanno l'anima, ma non tutti hanno l'intelletto: infatti l'Intelletto supremo resta solo presso coloro che scelgono la via della vera conoscenza e della virtù; si allontana, invece, da coloro che scelgono di restare nelle tenebre dell'ignoranza e del peccato. Chi è capace di riconoscere in se stesso Dio, può ritornare alla sua originaria natura e identificarsi con Dio.
Viene esaltata la natura mista dell'uomo, intermediario fra gli esseri celesti e quelli terreni; amando gli esseri che sono al di sotto di lui ed essendo amato da quelli che sono al di sopra; capace di penetrare la vastità del cielo come le profondità della terra, grazie alla facoltà dell'intelletto che da Dio gli è concessa. Alla domanda sul perché fu necessario porre l'uomo nella materia, si risponde che Dio questo decise, affinché l'uomo potesse prendersi cura delle cose terrene, ciò che non avrebbe potuto fare senza lo strumento del corpo materiale.

Dèmoni

I dèmoni sono esseri intermedi fra la natura umana e quella divina: come tali, permettono la comunicazione fra i due mondi — quello divino e quello umano — che diversamente non sarebbe possibile, giacché la divinità è ritenuta assolutamente trascendente e inaccessibile agli uomini. A questo nucleo centrale della demonologia, che deriva sostanzialmente dal mito platonico del Simposio, si sono aggiunti successivamente altri temi, tra cui quello dei dèmoni protettori e vendicatori. I dèmoni, in quanto partecipi della natura umana, come gli uomini possono essere moralmente giudicati per le loro azioni, e pertanto esistono dèmoni buoni e dèmoni cattivi. Ai primi spetta la funzione di vegliare sui singoli uomini, proteggerli dal male e guidarli fino a Dio; mentre i secondi tormentano l'uomo durante la vita e lo puniscono dopo la morte se ha vissuto in modo empio. Il motivo del dèmone vendicatore è molto comune nella filosofia delle scuole dell'epoca, come del resto la dottrina dei dèmoni in generale ha un ruolo fondamentale in queste filosofie religiose. Nell'ermetismo, in particolare, l'esistenza dei dèmoni malvagi risolve — almeno in apparenza — il problema dell'origine del male nel mondo (problema a lungo e ampiamente dibattuto, e di non facile soluzione).
Un altro dei temi che si sono aggiunti al nucleo centrale della demonologia è quello dell'identificazione dèmone-anima, secondo cui il dèmone costituisce un passaggio del processo di trasformazione dell'anima umana nel suo percorso di ritorno e ricongiungimento a Dio.

Conoscenza e gnosi

Il tema della conoscenza è di grande rilievo nell'ermetismo. Si distinguono due livelli di conoscenza: l'uomo può conoscere il Demiurgo — come essere corporeo, cioè come universo — con la facoltà di conoscenza sensibile; e può conoscere Dio, come bene, verità e bellezza, con la facoltà di conoscenza intellettiva. Conoscere Dio e riconoscere se stessi come derivati da Dio e dotati della stessa natura di Dio, sono gli aspetti fondamentali della gnosi ermetica.
Il Dio supremo è inconoscibile dalla ragione umana, nozione anche questa desunta da Platone (Parm. 142a). Gli ermetici però introducono un concetto nuovo e parlano di un'altra via per giungere alla conoscenza di Dio: una forma di conoscenza del tutto particolare — definita come gnosis — che si attua mediante l'intelletto, termine che sta a significare tanto l'essenza della natura di Dio quanto la scintilla divina insita nella natura umana. L'intelletto è ciò che rende gli esseri umani partecipi della natura divina e al tempo stesso rappresenta una facoltà conoscitiva sovrarazionale, intuitiva, mistica; un canale attraverso cui l'uomo può ricevere, per grazia di Dio, la vera conoscenza intesa come rivelazione salvifica. La salvezza dell'individuo, infatti, è imprescindibile dal conseguimento della vera conoscenza, che insieme al retto comportamento consente il ritorno dell'anima umana alla sua origine, Dio stesso; e la certezza che tale possibilità esiste, la possibilità di ricongiungersi a Dio, risiede appunto nell'identità della natura umana alla natura divina, come si è detto, tramite il principio dell'intelletto.
L'anima di colui che non ha saputo riconoscere la sua vera natura commette il più grave peccato che la dottrina ermetica conosca, la ἀγνῶσια (agnosia — l'ignoranza di Dio e del divino), che è l'opposto della γνῶσις (gnosis — conoscenza di Dio e del divino), ossia gnosi. Due sono le conseguenze di questo peccato: a) l'anima, ignorando la sua vera natura, diviene schiava del corpo; b) l'anima che ignora se stessa non è cosciente della propria ignoranza e quindi ignora anche quale sia il vero bene, e considera il male come bene.
La gnosi è intesa come dono di Dio a coloro che sono pii e devoti. Strettamente legata alla gnosi è la fede. Si giunge alla fede attraverso la rivelazione e poi la gnosi. Chi possiede la gnosi, e può quindi percepire ciò che non è percepibile con l'umana conoscenza, possiede anche la fede, perché «credere significa comprendere» (cfr. IX, 10).
La divinizzazione dell'anima è il fine della gnosi, e al tempo stesso la gnosi ne è il presupposto, insieme alla liberazione dell'anima dai legami corporei.

Vita e morte, anima e immortalità

La morte assoluta, intesa come totale annientamento, non esiste, perché la morte è solo dissoluzione degli elementi: tema tipicamente stoico. Dopo la morte, il corpo e quella parte dell'anima sede delle passioni inferiori ritornano alla natura, dove gli elementi si disgregano e disperdono; invece, la parte superiore dell'anima e l'intelletto salgono verso le sfere celesti, oltrepassandole una ad una e liberandosi d'ogni residuo delle passioni terrene, per ricongiungersi infine a Dio.
Per quanto concerne la generazione e l'evoluzione delle anime umane, è spiegato che da una sola anima, l'anima universale, hanno avuto origine tutte le anime, con un lungo processo di separazione e individuazione che ha portato ciascuna di esse ad incarnarsi in esseri viventi sempre più evoluti, fino all'uomo; dalla condizione umana poi l'anima può elevarsi a quella divina con il passaggio intermedio alla condizione di dèmone. Questo può accadere solo se l'uomo agisce, nell'esistenza terrena, in modo da fugare le tenebre dell'ignoranza e liberarsi del peccato; diversamente, l'anima non potrà godere dell'immortalità, né partecipare al bene, e sarà destinata a ripercorrere la strada all'inverso fino alle creature viventi inferiori. Il peccato maggiore di un'anima è l'ignoranza delle cose divine; al contrario, la virtù maggiore dell’anima è la conoscenza: colui che conosce, infatti, è anche buono, pio, ed è già divino. L'anima virtuosa non chiacchiera molto e ascolta poco: infatti Dio, il Padre, il Bene, non si conoscono né parlandone, né ascoltandone parlare.
Nell'escatologia del CH la risalita dell'uomo "essenziale" al cielo si attua attraverso varie fasi: 1) l'anima si spoglia di tutto ciò che fa parte del mondo materiale; 2) l'anima perviene alla natura ogdoadica, la sfera delle stelle fisse; 3) l'anima giunge alle "potenze", ipostasi divine; 4) attraverso le potenze, l'anima entra in Dio e s'identifica con Lui.
Nel CH si pone la distinzione fra "eterno" e "immortale". Il primo non presuppone né un principio né una fine, mentre il secondo presuppone un principio ma non una fine. Eterno si può dire di ciò che è ingenerato, Dio; immortale di ciò che è stato generato e ha ottenuto l'immortalità.

Reincarnazione

Nel CH è esplicitamente affermata la dottrina della reincarnazione, intesa come un susseguirsi di vite in forme fisiche sempre più evolute, fino alla forma umana, oltre la quale, per l'anima virtuosa, vi è la liberazione e il ricongiungimento a Dio.
In alcuni passi del CH si afferma che non è possibile che l'anima empia di un uomo assuma un corpo animale, in tal modo regredendo: sarebbe Dio stesso a proteggere l'uomo da «un sì grande oltraggio» (cfr. X, 19). Si tratta di una concezione affine a quella delle dottrine indù e presente anche nella letteratura teosofica. Tuttavia, in altri passi del CH, la possibilità della regressione a forme animali inferiori, come punizione per l'anima empia, sembra restare aperta (cfr. X, 8).

Bene e male, destino e libero arbitrio

Posto che Dio nel CH s'identifica con il Bene, il tema del male connaturato con la materia è platonico e ha origine dalla concezione della materia che tende a ritornare nello stato del caos primitivo. Il mondo della materia dunque non è buono. La concezione che Dio solo sia buono e il mondo sia male è comune negli scritti ermetici e sembra contraddire l'altra concezione, altrettanto comune, del mondo come Cosmos, come immagine di Dio, dove Dio è visibile in ogni singola parte. La contraddizione però è apparente e deriva dall'inevitabile dualità di ogni concetto e di ogni aspetto della manifestazione (cfr. Kybalion). Il mondo è buono in quanto creazione di Dio e immagine di Dio, e in quanto capace di generare e sostentare tutte le creature; ma il mondo è pure all'origine del male, perché la capacità di generare — anche il male — è la qualità essenziale della materia, e perché il male è implicito nella natura della materia di essere perennemente soggetta a forze che la trasformano e la sottopongono all'incessante ciclo di nascita/evoluzione/morte/rinascita... Alla concezione dell'origine del male dalla materia si affianca poi, come si è visto, quella relativa all'attività dei dèmoni malvagi.

Qual è dunque lo spazio concesso al libero arbitrio e alla responsabilità morale dell'uomo? La dottrina dell'heimarmene si ritrova nella letteratura ermetica senza nulla di nuovo rispetto alla tradizione stoica, ma la soluzione che si dà del problema del rapporto fra destino e libero arbitrio, e del valore morale delle azioni umane, è tipicamente gnostica e si allontana completamente dalla soluzione stoica. La soluzione è questa: l'uomo è soggetto al destino per tutto ciò che riguarda la sua natura corporea, ma è libero nel suo intelletto che partecipa della stessa essenza di Dio.
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