17/06/14

CH-4

CORPUS HERMETICUM

— Libro IV —
DISCORSO DI ERMETE A TAT: DEL CRATERE O DELLA MONADE

Discorso di Ermete al figlio Tat.
[1-2] Il Demiurgo ha creato il mondo con l'aiuto del Logos. Il Demiurgo è sempre esistente, sempre presente, e il suo corpo è costituito dalla totalità degli esseri esistenti. Infatti Egli non è fuoco, né acqua, né aria, né soffio vitale, ma da lui derivano tutte le cose. L'uomo, vivente mortale,  fu creato da Dio come "ornamento" del Demiurgo, vivente immortale; e se il Demiurgo è superiore agli altri esseri viventi, in quanto immortale, l'uomo a sua volta è superiore a Lui in quanto dotato di ragione e intelletto, e perciò capace di ammirare e conoscere il creatore.
[1] « Poiché il demiurgo ha creato il mondo nel suo insieme, non con le mani, ma con il Logos, consideralo come presente, sempre esistente, il creatore di tutto, l’uno e il solo, come colui quindi che per sua propria volontà ha foggiato gli esseri esistenti. In ciò infatti consiste il suo corpo; un corpo che non si può toccare, né vedere, né misurare, che non possiede estensione e non è simile a nessun altro corpo. Infatti egli non è fuoco, né acqua, né aria, né soffio vitale, ma da lui derivano tutte le cose. Poiché egli è buono, non ha voluto riservare solo a sé questo dono e per sé solamente ornare la terra. [2] Come ornamento di questo corpo divino, Dio ha inviato quaggiù l’uomo: un vivente mortale come ornamento di un vivente immortale. E se il mondo ha conseguito la superiorità sugli esseri viventi, in quanto immortale, l’uomo a sua volta è superiore a lui, in quanto dotato di ragione e intelletto. L’uomo infatti è divenuto il contemplatore dell'opera di Dio, ed è stato capace di ammirare e conoscere il creatore. »
[3-5] Dio ha distribuito la ragione a tutti gli uomini, ma non l'intelletto: questo volle che fosse per le anime un premio da conquistare. Per questo Dio riempì dell'intelletto un grande cratere che inviò sulla terra tramite un messaggero, con l'ordine di annunciare agli uomini queste parole: “Immergi te stesso, tu che lo puoi, in questo cratere, tu che aspiri a risalire fino a colui che l’ha inviato quaggiù, tu che sai perché sei nato”. Coloro che lo fecero ricevettero l'intelletto, furono resi partecipi della conoscenza e divennero uomini perfetti; gli altri, coloro che non vollero ascoltare le parole del messaggero, furono dotati di sola ragione e restarono nell'ignoranza, senza sapere per quale fine fossero nati né da chi. La vita di costoro è simile a quella degli animali privi di ragione, soggetti come sono alle passioni e rivolti unicamente ai piaceri materiali, che credono essere l'unico scopo della loro esistenza. Rispetto a costoro, gli uomini dotati di intelletto sono tanto superiori quanto esseri immortali di fronte a mortali, poiché tutto comprendono con il proprio intelletto.
[3] « Dio ha distribuito la ragione a tutti gli uomini, o Tat, ma non così ha fatto per l’intelletto. [...] [4] [...] Ne ha riempito un grande cratere, che ha inviato sulla terra, nominando per questo un messaggero, con l’ordine di annunziare ai cuori degli uomini queste parole: “Immergi te stesso, tu che lo puoi, in questo cratere, tu che aspiri a risalire fino a colui che l’ha inviato quaggiù, tu che sai perché sei nato”. 
« Quanti dunque si radunarono ad ascoltare il messaggero e si immersero nel cratere contenente l'intelletto, furono tutti resi partecipi della conoscenza e divennero uomini perfetti, avendo ricevuto l'intelletto; quanti invece non vollero ascoltarlo, furono dotati di sola ragione, non di intelletto, ignorando così per qual fine sono nati e da chi. [5] Le sensazioni di costoro sono simili a quelle degli animali privi di ragione: il loro temperamento è soggetto all’ira e alla collera, non contemplano le cose degne di essere ammirate, sono rivolti unicamente ai piaceri e agli appetiti del corpo e credono che l’uomo sia stato generato solo per questo. Quanti invece parteciparono del dono di Dio, questi, o Tat, quando si confrontano con gli altri, sono come esseri immortali di fronte a mortali, poiché tutto comprendono con il proprio intelletto: tutto ciò che è sulla terra, nel cielo, e tutto ciò che è al di sopra del cielo, se pur vi è qualcosa al di sopra del cielo. [...] »
[6-7] Questa è la scienza dell’intelletto: possesso delle cose divine e comprensione di Dio. Tat afferma di voler anch'egli immergersi nel cratere. Ermete replica che non potrà farlo se prima non avrà disprezzato il suo corpo: solo così potrà amare se stesso; amando se stesso acquisterà l'intelletto e, possedendo l’intelletto, parteciperà della scienza. Per ogni uomo è necessario fare una scelta fra le cose terrene e quelle divine: è impossibile ottenere entrambe; né del resto sarebbe ragionevole, perché la via che riconduce l'uomo a Dio è incomparabilmente migliore di quell'altra.
[6] « Questa, o Tat, è la scienza dell’intelletto; possesso delle cose divine e comprensione di Dio, poiché divino è il cratere. »
« Anch'io voglio immergermi nel cratere, o padre. »
« Se prima non avrai disprezzato il tuo corpo, o figlio, non potrai amare te stesso. Amando te stesso acquisterai l'intelletto e, possedendo l’intelletto, parteciperai della scienza. [...] È impossibile, o figlio, ottenere ambedue le cose, quelle mortali e quelle divine. [...] »
[...]
[8-9] Non è Dio la causa del male, bensì l'uomo con le sue scelte, quando sceglie le cose terrene anziché quelle divine; ma l'uomo ha sempre la possibilità di optare per la via che lo riconduce a Dio. Questa via è una strada tortuosa, difficile, che consiste nell'abbandonare le cose più familiari, tangibili, piacevoli, per cercare quelle più inaccessibili e sottili. Una via che riconduce l'uomo alla sua meta, Dio, dopo innumerevoli esistenze in forma umana e superumana.
[...]
[9] « [...] Prendiamo dunque l’avvio da questo principio e percorriamo tutto il bene velocemente. È una strada tortuosa, che consiste nell’abbandonare le cose familiari e presenti per risalire alle antiche e primordiali. Le cose che si mostrano ai nostri occhi ci recano piacere, mentre quelle che non sono visibili suscitano dubbi. Le cose cattive sono quelle che più facilmente si mostrano alla vista, il bene è inaccessibile agli occhi [...] »
[10-11] Principio e radice di tutte le cose è la monade.1 La monade esiste in tutte le cose, comprende tutte le cose senza esserne compresa, genera tutte le cose senza esserne generata; è perfetta e immutabile in sé stessa, pur partecipando al divenire di tutte le cose.
[10] [...] « La monade pertanto, essendo principio e radice di tutte le cose, esiste in tutte le cose. Niente esiste infatti senza principio. Il principio invece non deriva da nulla se non da se stesso, in quanto è principio di tutte le cose. Essendo dunque principio, la monade comprende ogni numero, senza essere compresa da alcun numero. Essa genera ogni numero, senza essere generata da nessuno di essi. [11] Tutto ciò che è generato è imperfetto e divisibile, passibile di accrescimento e di diminuzione; niente di tutto questo riguarda ciò che è perfetto. Ciò che è passibile di accrescimento, deriva il suo accrescersi dalla monade, ed è vinto dalla propria debolezza quando non è più in grado di contenerla. [...] »

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NOTE

1 Il termine "monade" fu adottato molto presto nella storia della filosofia greca, con significati diversi a seconda dei contesti in cui è stata utilizzata. Nel CH sta ad indicare l'essenza divina indivisibile e immutabile, l'Uno, e in questo senso può risalire al neoplatonismo.
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03/06/14

CH - 3

CORPUS HERMETICUM

— Libro III —
DISCORSO SACRO DI ERMETE

Trattato attribuito a Ermete.
[1-2] L’universo, la natura sono divini. Dio è principio, natura, attività, necessità, fine e rinnovamento di tutti gli esseri; Egli è intelletto, natura, materia; è la saggezza volta alla rivelazione di tutte le cose. In principio c'era "tenebra infinita nell'abisso",1 acqua, caos degli elementi descritto come "natura umida"; un "soffio sottile", dotato di capacità intellettiva, era l'aspetto divino presente nell'universo non ancora formato. Poi dalla natura umida si staccò una "luce santa" e si innalzò; mentre tutte le cose erano ancora indefinite, gli elementi si condensarono e si separarono per azione del fuoco e del soffio vitale: quelli leggeri salirono verso l'alto, quelli pesanti si depositarono in basso sulla "sabbia umida".2 Allora apparvero le sfere celesti e gli dèi sotto forma di astri, uniti in costellazioni; il cerchio più esterno, trascinato dal soffio divino, cominciò a volgere con moto circolare nell'aria abbracciando il tutto.
[1] Gloria di tutte le cose è Dio, e l’universo è divino, la natura è divina. Principio di tutti gli esseri è Dio, che è intelletto, natura e materia, che è saggezza volta alla rivelazione di tutte le cose. Il divino è principio, è natura, attività, necessità, fine e rinnovamento. 
C'era tenebra infinita nell’abisso, e acqua, e un soffio sottile, dotato di capacità intellettiva; questi elementi esistevano nel caos, grazie alla potenza divina. Da qui una luce santa si staccò dalla natura umida e si innalzò; gli elementi si condensarono e tutti gli dèi divisero gli esseri della natura germinale. [2] Mentre tutte le cose erano indefinite, non ancora formate, gli elementi leggeri si separarono e salirono verso l’alto, quelli pesanti si depositarono in basso sulla sabbia umida; il tutto si era diviso in parti per azione del fuoco, e veniva trasportato dal soffio vitale. E il cielo apparve in sette cerchi, e gli dèi si mostrarono alla nostra vista sotto forma di astri, uniti in costellazioni; la natura celeste si configurò nel suo aspetto con gli dèi in essa contenuti, e il cerchio esterno si volse con moto circolare nell’aria abbracciando il tutto, trascinato dal soffio divino nella sua corsa circolare.
[3] Ciascuno degli dèi realizzò il compito assegnatogli, secondo la propria facoltà, e così nacquero tutti gli esseri viventi, animali e piante. Poi Dio ordinò che fossero creati gli uomini e per mezzo degli dèi pose un'anima in ogni corpo. Gli uomini avrebbero dovuto crescere e moltiplicarsi; dominare tutto ciò che esiste sotto il cielo; conoscere e contemplare la natura, il cielo, la potenza divina; discernere le cose buone dalle cattive; scoprire le arti per creare le cose buone.
[3] Ciascun dio realizzò secondo la propria facoltà ciò che gli era stato assegnato, e così nacquero gli animali, i quadrupedi, i rettili, gli acquatici, gli alati, e ogni seme germinale, l’erba e il germoglio di ogni fiore, e in sé avevano il seme della rigenerazione. Dio ordinò poi che fossero creati gli uomini, affinché conoscessero le opere divine, affinché dessero testimonianza dell’attività della natura,3 affinché si accrescessero di numero, affinché dominassero tutto ciò che esiste sotto il cielo, affinché riconoscessero le cose buone, affinché crescessero e si moltiplicassero. Pose ogni anima nella carne del corpo per mezzo degli dèi che si volgono nel cielo. [...]
[4] Comincia allora per gli uomini l'esistere, costituito di nascita e morte, crescita e decrescita, dissoluzione e rinnovamento; con la possibilità di evolvere e divenire saggi, secondo la sorte assegnata loro dagli dèi. Tutto secondo una legge di necessità che regola il cosmo intero, giacché divino è l'ordinamento del mondo e il suo rinnovamento naturale.

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NOTE
1 Si apre qui una cosmogonia simile a quella esposta nel Poimandres, ma l'ordine iniziale appare invertito: non si comincia dalla luce, ma dalla tenebre, come in Genesi.
2 La sabbia umida è uno degli elementi primi della cosmogonia egizia.
3 Nei testi ermetici è frequente il tema della creazione dell'uomo per la necessità di un contemplatore delle opere divine.
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01/06/14

CH - 2

CORPUS HERMETICUM

— Libro II —

Discorso di Ermete ad Asclepio. Il trattato è senza titolo; nel CH prende il posto di un trattato perduto, di cui si conosce il titolo (Discorso universale di Ermete a Tat).
[1-3] Ermete illustra ad Asclepio la natura del moto e delle relazioni reciproche fra causa del moto, corpo mobile e spazio in cui il moto si svolge. Innanzitutto, ciò che è soggetto al movimento (un corpo) si muove entro qualcosa (lo spazio) e per effetto di qualcos'altro (un altro corpo). Poi, è necessario che lo spazio sia più grande del corpo che si muove, per permettere il movimento stesso. Ancora, si deve postulare che il corpo che causa il moto sia più forte del corpo mosso; che i corpi mobili siano diversi per natura dal "qualcosa" (spazio) in cui il movimento si svolge; che non ci può essere alcun corpo più grande dell'universo; che l'universo stesso è un corpo, costituito da tutti i corpi che esso contiene senza soluzione di continuità; che l'universo è un corpo mobile, e pertanto il luogo (spazio) entro cui si muove l'universo dev'essere più grande dell'universo stesso.
[1] « Tutto ciò che è soggetto al movimento, o Asclepio, non si muove forse in qualcosa e per azione di qualcosa? [...] E non è necessario che ciò in cui l’essere mobile si muove sia più grande di ciò che si muove? [...] E dunque ciò che è causa del moto non è più forte di ciò che è mosso? [...] E ciò che si muove deve necessariamente avere una natura diversa da ciò in cui si muove? [...] [2] È dunque grande quest'universo, non essendoci nessun corpo più grande di lui? [...] Ed è compatto? Infatti è pieno di molti altri grandi corpi, anzi di tutti i corpi esistenti. [...] Ma non è forse un corpo l'universo? [...] Ed è un corpo che si muove? [3] [...] Quanto grande dunque deve essere il luogo, in cui si muove l’universo, e di quale natura è dotato? Non deve forse essere molto più grande, perché possa contenere in sé il movimento continuo del mondo, e perché ciò che si muove non sia compresso dalla strettezza del luogo e non arresti il proprio movimento? [...]  »
[4-6] Ermete passa quindi a considerare la relazione fra corpi mobili e spazio, e osserva che la natura dello spazio dev'essere contraria a quella dei corpi mobili: pertanto lo spazio è incorporeo, ovvero qualcosa di divino, in quanto ingenerato; anzi, si può dire che l'incorporeo sia un aspetto di Dio stesso. Se dunque l'incorporeo è un aspetto di Dio, la sua natura pertiene al mondo dell'essenza, il mondo intelligibile (in contrapposizione al mondo della materia, il mondo sensibile): ne consegue che lo spazio è intelligibile, in quanto pertiene al mondo intelligibile, sia che lo si concepisca come ente incorporeo, quale luogo del movimento, sia che lo si concepisca come aspetto di Dio, quale attività capace di contenere tutto.
[4] « Ma di quale natura sarà questo luogo? Non sarà dunque di natura contraria a ciò che si muove, o Asclepio? E la natura contraria a quella di un corpo è l’incorporeo. [...] Il luogo, dove l'universo si muove, deve essere allora incorporeo; ma l'incorporeo è qualcosa di divino, o meglio è Dio stesso. (Per “qualcosa di divino” intendo non ciò che è stato generato, ma l'ingenerato.) [5] Se dunque l'incorporeo è qualcosa di divino, la sua natura è quella dell'essenza, se è Dio stesso, è anche privo di essenza. Inoltre è anche intelligibile, perché per noi l’intelligibile primo è Dio, ma egli non è tale per se stesso. Ciò che è intelligibile cade infatti sotto i sensi di colui che lo pensa; Dio quindi non può essere pensato da se stesso, poiché non è altro dall'oggetto pensato, per il fatto che pensa se stesso. [6] Ma rispetto a noi Dio è qualcosa di altro da noi e perciò è per noi intelligibile. Se dunque il luogo è per noi intelligibile, non lo è in quanto Dio, ma in quanto luogo. Se invece è per noi intelligibile anche come Dio, non lo pensiamo come luogo, ma come attività capace di contenere tutto. Tutto ciò che si muove, non si muove in qualcosa che è in movimento, ma in qualcosa che sta immobile. E così ciò che produce il movimento è immobile, essendo impossibile che si muova insieme a ciò che fa muovere. »
[6-9] Tutto ciò che si muove si muove in qualcosa che sta immobile: ciò che produce il movimento è immobile,1 né potrebbe essere diversamente. Asclepio obietta che nel mondo materiale i corpi mossi si muovono insieme ai corpi che li muovono: quest'ultimi non restano affatto immobili, e le sfere stesse dei pianeti sono mosse dalla sfera delle stelle fisse. Ermete precisa che l'immobilità dell'universo va intesa come bilanciamento di movimenti contrari, resi stazionari dalla reciproca opposizione; a cominciare proprio dalle sfere dei pianeti che si muovono in senso contrario a quello delle stelle fisse e traggono il loro movimento dall'assoluto equilibrio della stasi.2 Ermete porta l'esempio di un uomo che, nuotando, si contrappone alla corrente d'acqua, senza esserne trascinato via; e ribadisce che il movimento si attua nell'immobilità ed è prodotto da ciò che è immobile. Il movimento di ogni corpo materiale non proviene da cause esterne al corpo, cioè da altri corpi, ma da cause interne che operano dall'interno verso l'esterno: vale a dire dagli intelligibili, come l'anima, il soffio vitale o altri elementi incorporei.
« Come mai allora, o Trismegisto, le cose di quaggiù si muovono insieme alle cose che le fanno muovere? Tu infatti hai detto che le sfere dei pianeti sono mosse dalla sfera delle stelle fisse. »
« Non si tratta, o Asclepio, di un movimento comune, ma di un movimento contrario; non si muovono infatti nella stessa direzione, ma in senso opposto le une alle altre, e tale opposizione implica un'opposizione di movimento, che è equilibrio. [7] Infatti l’opposizione determina l'arresto del movimento. Così dunque le sfere dei pianeti, muovendosi in senso contrario a quello delle stelle fisse, traggono il loro movimento dalla stasi che è generata, nel punto di opposizione, dall'opposizione stessa, che si ha fra di loro, ed è impossibile che avvenga diversamente. [...] [8] Voglio farti un esempio che può cadere sotto i tuoi occhi. Guarda gli esseri mortali; l'uomo, per esempio, quando nuota. L’acqua è trascinata velocemente, l'opposizione dei piedi e delle mani produce per l’uomo stasi, per cui non è trascinato via dalla corrente. [...] Ogni movimento dunque si attua nell'immobilità ed è prodotto da ciò che è immobile. Il movimento del mondo e di ogni essere vivente materiale non c’è caso che provenga da cause esterne al corpo, ma da cause interne che operano dal di dentro verso l’esterno, cioè dagli intelligibili, come l'anima, o il soffio vitale o qualunque altro elemento incorporeo. Un corpo infatti non può muovere un altro corpo animato, né in generale può muovere un corpo, anche se questo è inanimato. »
 [9] « Come dici, o Trismegisto? I pezzi di legno dunque, le pietre e tutti gli altri esseri inanimati, non sono forse mossi da corpi? »
« Per niente, Asclepio, perché è ciò che si trova nell’interno del corpo che muove la cosa inanimata, e non il corpo stesso che genera il movimento di ambedue, sia del corpo che porta, sia del corpo che è portato; è per questo che un corpo inanimato non potrà muovere un altro corpo inanimato. [...] »
[10-11] Ermete prosegue negando l'esistenza del vuoto: niente di ciò che esiste è vuoto, per il fatto stesso che esiste. I vuoti che si osservano nella materia sono apparenti, sono cavità riempite di aria e di elementi sottili (come il soffio vitale).3
[10] « È necessario che il movimento dei corpi che si muovono si realizzi nel vuoto, o Trismegisto? »
« Stai attento a come parli, Asclepio! Niente di ciò che esiste è vuoto, per il fatto stesso che esiste. Ciò che è, infatti, non potrebbe essere tale, se non fosse pieno del reale; il reale infatti non può mai essere vuoto. [...] [11] [...] Non è forse un corpo l'aria? [...] E questo corpo non penetra forse attraverso tutti gli esseri e non li pervade, riempiendoli totalmente? E ogni corpo non è costituito dalla mescolanza dei quattro elementi? Dunque tutti i corpi, che tu definisci vuoti, sono pieni di aria; e se sono pieni di aria, lo sono anche dei quattro elementi e così si dimostra vero il discorso contrario al tuo: tutte le cose che tu dici piene sono vuote di aria, non avendo più spazio per accoglierla, sono riempite da altri elementi. Quelle cose che tu definisci vuote, le devi invece chiamare concave, non vuote, perché, per il fatto stesso che esistono, sono piene di aria e di soffio vitale. »
[12-13] Asclepio domanda ancora una volta che cosa sia lo spazio, e che cosa sia Dio. Ermete ribadisce che lo spazio è un essere incorporeo; e l'incorporeo è un intelletto, che nella sua totalità contiene interamente se stesso; libero da ogni corpo, impassibile, intangibile, immobile in se stesso; tale da contenere in sé tutte le cose esistenti, da mantenerle in vita; il principio primo del soffio vitale e dell’anima. Quanto a Dio, Egli non è alcuna di queste cose, ma è la causa dell'esistenza di esse, come lo è di tutte le cose esistenti. Dio dunque non è l'intelletto stesso, ma è causa del suo esistere; non è il soffio vitale, ma è causa del suo esistere; non è la luce, ma è causa del suo esistere. Egli non ha lasciato spazio alcuno al non essere, e tutto ciò che esiste deriva da ciò che esiste e non da ciò che non esiste: infatti, ciò che non esiste non possiede in sé la natura dell'esistenza, la sua natura è tale che non può mai divenire esistente; viceversa, ciò che esiste possiede in sé la natura dell'esistenza, e non può non esistere, né potrà mai.
[12] « Il discorso che hai fatto non è confutabile, o Trismegisto. Come definiremo dunque il luogo in cui si muove l'universo? »
« Un essere incorporeo, Asclepio. [...] Un intelletto, che nella sua totalità contiene interamente se stesso, libero da ogni corpo, immobile, impassibile, intangibile, immobile in se stesso, tale da contenere in sé tutte le cose esistenti, da mantenerle in vita, e i cui raggi possono essere definiti il bene, il vero, il principio primo del soffio vitale e dell’anima. [...] Dio è colui che non è alcuna di queste cose, ma la causa dell'esistenza di esse, come lo è di tutte le cose esistenti e di ciascuna di esse in particolare. [13] Egli non ha lasciato spazio alcuno al non essere, e tutto ciò che esiste deriva da ciò che esiste e non da ciò che non esiste; infatti ciò che non esiste non possiede in sé la natura dell'esistenza, ma la sua natura è tale che non può mai divenire esistente, e viceversa ciò che esiste non ha la proprietà di non esistere mai.  »
[14-17] Il discorso di Ermete si conclude con l'affermazione che gli unici appellativi che si addicono a Dio sono "buono" e "padre".4 Quanto al primo, tutti gli altri esseri sono incapaci di contenere in sé la natura del bene: non gli esseri dotati di corpo e anima (come gli uomini), né tanto meno gli esseri materiali. Sarebbe empio definire "buono" un altro essere, come sarebbe parimenti empio non definire "buono" Dio. Il bene non può essere astratto da Dio, essendo da lui inseparabile, è Dio stesso. L’essere realmente buono è quello che dona tutto e che nulla riceve; Dio dona tutto e non riceve nulla: dunque Dio è il bene, e il bene è Dio. Quanto all'appellativo di "padre", esso deriva dalla facoltà di creare tutto ciò che esiste, poiché l’attività del creare è propria del padre; da ciò consegue, inoltre, che la procreazione è la funzione più importante e più santa, e non procreare è una colpa che viene espiata con la condanna a reincarnarsi nel corpo di un essere né uomo né donna.
[14] « [...] Dio dunque non è l'intelletto stesso, ma è causa del suo esistere, non è il soffio vitale, ma è causa del suo esistere, non è la luce, ma è causa del suo esistere. Da ciò consegue che bisogna adorare Dio con questi due soli appellativi, i quali si addicono a lui solamente e a nessun altro essere. Nessuno infatti degli altri esseri chiamati dèi, nessuno degli uomini, nessuno dei dèmoni, per quanto grande sia, può essere buono, eccetto Dio. Ed egli è solamente buono e nient’altro. Tutti gli altri esseri sono incapaci di contenere in sé la natura del bene; poiché sono corpo e anima, e non hanno spazio che possa contenere il bene. [15] Tanto immensa è la grandezza del bene, quanto grande è l'esistenza di tutti gli esseri, corporei e incorporei, sensibili e intelligibili. In questo consiste il bene, in questo consiste Dio. Non definire dunque nessun’altra cosa con il termine “buono”, perché commetteresti un'empietà, e non definire Dio con altro appellativo che non sia quello di “buono”, perché anche così commetteresti un’empietà.  »
[...]

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NOTE
1 È la dottrina aristotelica del motore immobile, che è presupposto come causa di ogni movimento.
2 Questo è un principio ermetico fondamentale: la dualità di tutti i fenomeni naturali e il perfetto equilibrio delle polarità contrapposte. Nel Kybalion, tali concetti sono espressi nei due principi di Polarità e Ritmo.
3 La negazione del vuoto, che richiama l'horror vacui di ascendenza aristotelica, sembrava essere stato liquidato dalla scienza moderna, o meglio dalla fisica classica, che sullo spazio vuoto ha formulato tutte le sue leggi fondamentali; ma gli sviluppi più recenti, fondati da una parte sulla teoria della relatività e dall'altra sulla meccanica quantistica, hanno significativamente riproposto l'esigenza di postulare un continuum spazio-temporale, se non proprio una sorta di etere "rivisitato".
4 Il problema dei nomi di Dio è tema comune dell'ermetismo. Oltre agli appellativi di "buono" e "padre", qui citati, troviamo nel CH anche l'identificazione di Dio con il bello, di origine platonica; ma troviamo anche le affermazioni che Dio possegga legittimamente tutti i nomi, perché è tutto ciò che ha creato, e che all'opposto sia privo di nomi, perché assolutamente trascendente. Non si tratta di contraddizioni, ma semplicemente dei differenti punti di vista da cui si può considerare il problema.
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