29/05/14

CORPUS HERMETICUM - INTRODUZIONE

Quando i Greci entrarono in contatto con l'Egitto, molte loro divinità furono identificate con divinità egizie: fra queste Thoth, assimilato all'Hermes dei Greci. Se Thoth degli dèi era lo scriba, Hermes ne era il messaggero, funzioni entrambe legate alla parola divina da registrare e riferire. Parallelamente, Hermes come Thoth fu sempre considerato l'inventore di tutte le scienze e le arti pratiche, come la scrittura, la medicina, la magia, l'astronomia e altre. All'inizio dell'era cristiana si attribuisce a Hermes la funzione di profeta di Dio, portatore del Logos divino, dove il termine Logos, in un'accezione conferitagli dalla speculazione stoica, sta a significare l'espressione dell'intelletto divino creatore che pervade tutto l'universo, e di cui l'intelletto umano rappresenta una scintilla.
In seguito i Greci distinsero l'Hermes tradizionale greco da quello sincretico di origine egizia, indicando quest'ultimo col duplice nome di Ermete Trismegisto, dove Trismegisto ("tre volte grande") è un epiteto elogiativo ricavato dal superlativo dell'aggettivo greco megistos. A Thot, quale inventore della scrittura, erano attribuiti i libri più antichi esistenti in Egitto, e così Ermete Trismegisto è considerato dalla tradizione l'autore della letteratura religiosa egizia.
I più antichi documenti della letteratura ermetica, a noi pervenuti, sono in lingua greca; risalgono alla prima metà del I secolo d.C. e sono di argomento astrologico. Nulla sappiamo dell'esistenza di scritti ermetici in lingua egizia. Di una letteratura ermetica filosofica o teosofica si comincia a parlare diffusamente dal II secolo d.C. Di questa letteratura ci è pervenuto un complesso di scritti di cui fanno parte il Corpus Hermeticum, l'Asclepio, la traduzione latina di un "Discorso perfetto" e infine gli estratti compilati da Stobeo.
I diciassette trattati che costituiscono il CH ci sono pervenuti attraverso una ventina di manoscritti del XIV, XV e XVI secolo, che risalgono tutti al medesimo archetipo, composto probabilmente fra il VI e il IX secolo d.C. in ambito culturale bizantino. L'Asclepio invece ci è pervenuto insieme alle opere di Apuleio ed è stato dapprima erroneamente attribuito a lui.
La diversità di forma e contenuto dei vari trattati che costituiscono il CH dimostra chiaramente un'origine non unitaria, ma il comune carattere devozionale spinse il compilatore a riunirli in un unico corpus. Due sono le tesi fondamentali circa l'origine e la paternità dei testi ermetici: c'è chi ipotizza che siano sorti all'interno di sette o confraternite ermetiche, allo scopo di raccogliere gli insegnamenti della dottrina (Reitzenstein); c'è invece chi esclude la possibilità di stabilirne la precisa paternità (Festugière). La seconda tesi sembra più credibile, per vari motivi: il carattere non unitario del CH; l'esposizione di dottrine in qualche caso opposte e contraddittorie, che ne tradisce la varia provenienza; la mancanza di indicazioni circa un rituale misterico per i fedeli. Difficile dunque pensare al CH come alla Sacra Scrittura di una setta religiosa; piuttosto, possiamo dire che il fenomeno della letteratura ermetica rientra in una moda letteraria del tempo, per cui si attribuiva a Ermete Trismegisto tutto quanto era considerato scienza occulta. In tal modo, lo pseudonimo di Ermete ha designato una corrente di pensiero, un movimento, come altre volte è accaduto sotto la paternità di altri profeti, persiani o caldei, ebrei o indiani. La stessa somiglianza di questa letteratura con altre contemporanee e vicine di genere profetico, e l'utilizzo di luoghi ed espressioni comuni a tutta la letteratura religiosa dell'epoca imperiale e del tardo ellenismo, fanno pensare piuttosto ad un fenomeno storico-letterario, che all'esposizione di una precisa liturgia.
Questi testi contengono scarsi elementi di ascendenza egizia, per cui difficilmente si può pensare che risalgano ad una fonte egiziana come rivendicato dagli ignoti autori. Piuttosto questi scritti, come tutta la letteratura filosofico-religiosa del tempo, presentano, mescolati fra loro, elementi platonici, aristotelici e stoici, insieme a qualche traccia di misteriosofie orientali, più iraniche che egizie; hanno inoltre molte somiglianze con gli scritti dell'orfismo, gli oracoli dei Caldei e numerosi testi dello gnosticismo cristiano.
In questo carattere composito e frammentario, in questa varietà di temi di elementi, si può ritrovare un costante atteggiamento di pensiero che costituisce l'aspetto unitario di tale complesso di scritti: la conoscenza intesa come rivelazione, la filosofia come scienza della rivelazione, che, secondo le parole di Ermete, « consiste nel solo desiderio di conoscere più profondamente la divinità mediante una contemplazione incessante e una santa devozione ».
È impossibile trovare un'impostazione unitaria che giustifichi e spieghi la giustapposizione di dottrine diverse e per qualche aspetto contraddittorie, né si può ricavare dal complesso degli scritti ermetici le linee di un sistema filosofico. Quel che cercheremo di fare in questa sede è di affrontare la materia evidenziando alcuni concetti chiave e illustrando come questi siano stati sviluppati nei vari trattati, seguendo principalmente l'esposizione del Poimandres che è il più organico e completo.

Divinità e cosmogonia

La concezione di una divinità trascendente è il punto di partenza della dottrina ermetica, come del platonismo del tempo: è derivata direttamente da Platone, il quale ha spesso identificato Dio con il supremo intelligibile, con l'idea del bene e del bello (cfr. Simp. 211a, Fedro 247e, Parm. 138a). Dio dunque, per gli ermetici, è l'Intelletto supremo, il Νοῦς (Nous — "intelletto"), il Padre, avente duplice natura maschile e femminile, e pertanto in grado di generare da solo. Questa concezione di Dio dotato di doppia natura, femminile e maschile, è molto comune nella letteratura filosofico-religiosa del tempo: si ritrova nei neoplatonici, negli gnostici, nell'orfismo ed è strettamente connessa con l'altra concezione fondamentale, per cui la natura propria e peculiare di Dio è il generare. Pure, la nozione di Dio come incorporeo è un luogo comune della filosofia del tempo.
Alla fondamentale concezione della divinità trascendente, che possiamo definire negativa, perché giunge a definire Dio attraverso una serie di negazioni (Dio è ineffabile, invisibile, incorporeo, innominabile, inconcepibile nello spazio e nel tempo, privo di desideri e bisogni etc), la dottrina ermetica fa seguire la concezione per cui Dio è il Tutto e l'Uno da cui ha origine ogni cosa, ogni essere, ogni creatura: Dio è il creatore e il Padre che si identifica totalmente con il prodotto della sua creazione; pertanto Dio è visibile e conoscibile attraverso il mondo, anzi, Dio vuole essere conosciuto dall'uomo quale sommo artefice e ordinatore dell'universo, il κόσμος (Cosmos — "ordine"). Non c'è contraddizione fra le due concezioni di Dio, perché si tratta di due aspetti dello stesso principio: il Nous è Dio non manifestato e l'universo è la manifestazione di Dio. Questa duplice concezione di Dio si ritrova del resto in tutte le tradizioni realmente esoteriche. Nella Kabbala Ain Soph Aur ("luce senza fine") è Dio prima della sua manifestazione, prima cioè dell'emanazione delle dieci sephirot (cfr. Zohar). Nella filosofia vedica un significato analogo è espresso dal termine sanscrito Brahman, la realtà immutabile e infinita oltre e dietro gli universi (cfr. Upanishad).
Il Poimandres spiega dettagliatamente come la manifestazione di Dio nel creato avvenga attraverso esseri intermedi. Innanzitutto il Padre, il Nous, genera il Figlio primogenito, il Λόγος (Logos — "enumerazione", "discorso", "ragione", "legge universale") e quindi un intelletto demiurgico, secondogenito ma consustanziale rispetto al primo. La volontà del Padre attua la creazione tramite l'intelletto demiurgico, traendo dal Logos i modelli archetipali degli elementi, delle cose e degli esseri che andranno a popolare l'universo. È l'intelletto demiurgico, illuminato dal Logos, l'artefice e l'ordinatore dell'universo; anzi, il Demiurgo è il corpo stesso dell'universo, poiché s'identifica interamente nella sua creazione. Anche la nozione di Demiurgo è evidentemente di derivazione platonica (cfr. Timeo), mentre il Logos ermetico è assimilabile quello tradizionale degli Stoici, la ragione divina creatrice che permea l'universo. A questo proposito, c'è da osservare che per l'ermetismo ha luogo un duplice rispecchiamento di Dio nell'uomo: se il Nous si riflette nell'intelletto umano e nella facoltà di conoscenza intuitiva, a sua volta il Logos si riflette nella ragione umana e nella facoltà di conoscenza sensibile. Confrontando tale nozione con concetti analoghi ravvisabili in altre tradizioni filosofiche, quale quella indiana, si potrebbe dire che il Nous si riflette nel Sé superiore dell'essere umano (il veicolo buddhico o Buddhi), mentre il Logos si riflette nel Sé personale (il veicolo mentale o Manas).
Dalla duplice concezione della divinità suprema (la coppia Padre/Nous – Figlio/Logos) deriva la duplice concezione della conoscenza di Dio: il Dio trascendente è oggetto della sola gnosi (tramite l'intelletto); mentre il Dio-Demiurgo, identificandosi con la sua stessa creazione, si conosce attraverso il mondo (tramite la ragione). È importante inoltre evidenziare che, per il pensiero ermetico, Dio non può conoscere se stesso, in quanto in quanto ogni forma di conoscenza implica una dualità tra soggetto e oggetto, mentre Dio è uno. Ne consegue che l'uomo è la via attraverso la quale la creazione può giungere a conoscere la sorgente della creazione stessa: una visione, questa, affine a quella sviluppata dalla letteratura teosofica (da H. P. Blavatsky, a A. P. Sinnett, a A. Besant e altri). 
Il livello divino della cosmogonia ermetica si completa con gli dèi. Creati dal Demiurgo, gli dèi sono esseri, di natura androgina, intermedi fra la triade divina superiore e l'uomo. Chiamati "i sette ministri" nel Poimandres, corrispondono ai sette pianeti che, secondo un tema molto comune nello stoicismo, governano il mondo sensibile, ciascuno con un proprio specifico compito. Tale governo è definito εἱμαρμένη (heimarmene — "destino"), la legge di necessità a cui nessuna azione umana può sottrarsi, e che si oppone alla πρόνοια (pronoia — lett. "che sta davanti all'intelletto", la provvidenza divina), la cui natura è invece razionale.

Uomo e Natura

Dopo aver completato la creazione del cosmo, con i sette ministri che lo governano, e dopo aver impresso movimento al divenire della Natura, l'intelletto divino, il Padre, genera a immagine di sé l'archetipo dell'Uomo, il quale, conosciuta l'opera del Padre, vuole a sua volta produrre un'opera meravigliosa. L'Uomo allora prende dimora nel mondo e si unisce alla Natura, generando sette uomini, di natura androgina, come pure tutte le altre creature in questa prima fase della creazione. Solo trascorsa la prima rivoluzione celeste il legame fra le due nature, maschile e femminile, si rompe e tutti gli esseri viventi si dividono in maschi e femmine, dando così inizio alle generazioni. Per mezzo degli dèi, il Padre pone un'anima in ogni corpo. Compito degli uomini è crescere e moltiplicarsi; dominare tutto ciò che esiste sotto il cielo; conoscere e contemplare la natura e Dio; discernere le cose buone dalle cattive; scoprire le arti per creare le cose buone.
L'uomo, fra tutti gli esseri che vivono sulla terra, è l'unico che possiede una doppia natura: mortale per il corpo, immortale per l'essere essenziale che è in lui. La distinzione fra essenza e materia è eredità del dualismo platonico fra mondo intelligibile e mondo sensibile. L'essenza designa l'essere vero, sempre identico a se stesso, non soggetto alla legge del divenire. Del mondo dell'essenza fanno parte Dio, l'Intelletto, gli intelligibili; del mondo della materia, invece, tutto ciò che è corporeo. Conseguentemente si ha l'opposizione fra i termini derivati (uomo) "essenziale" e "materiale". Il primo termine designa l'uomo che vive conformemente alla sua vera natura, la natura divina, ed esalta la parte divina dell'uomo, l'anima, o meglio la parte più pura dell'anima che è l'intelletto. Il secondo termine designa l'uomo che vive come essere corporeo, confinato a quella parte dell'essere umano che è materia, il corpo appunto. Delle due parti di cui l'uomo è costituito, la parte essenziale è semplice, mentre quella materiale è quadruplice (cioè composta attraverso i quattro elementi).
Il tema della duplicità di natura e di origine dell'uomo è molto comune nell'ermetismo e costituisce motivo di superiorità dell'uomo su tutti gli altri esseri. Infatti, Dio ha creato l'uomo terreno attraverso l'uomo essenziale, l'archetipo dell'uomo, generato a immagine di sé: ciò permette di affermare che l'uomo è di natura divina. Tutti gli uomini hanno l'anima, ma non tutti hanno l'intelletto: infatti l'Intelletto supremo resta solo presso coloro che scelgono la via della vera conoscenza e della virtù; si allontana, invece, da coloro che scelgono di restare nelle tenebre dell'ignoranza e del peccato. Chi è capace di riconoscere in se stesso Dio, può ritornare alla sua originaria natura e identificarsi con Dio.
Viene esaltata la natura mista dell'uomo, intermediario fra gli esseri celesti e quelli terreni; amando gli esseri che sono al di sotto di lui ed essendo amato da quelli che sono al di sopra; capace di penetrare la vastità del cielo come le profondità della terra, grazie alla facoltà dell'intelletto che da Dio gli è concessa. Alla domanda sul perché fu necessario porre l'uomo nella materia, si risponde che Dio questo decise, affinché l'uomo potesse prendersi cura delle cose terrene, ciò che non avrebbe potuto fare senza lo strumento del corpo materiale.

Dèmoni

I dèmoni sono esseri intermedi fra la natura umana e quella divina: come tali, permettono la comunicazione fra i due mondi — quello divino e quello umano — che diversamente non sarebbe possibile, giacché la divinità è ritenuta assolutamente trascendente e inaccessibile agli uomini. A questo nucleo centrale della demonologia, che deriva sostanzialmente dal mito platonico del Simposio, si sono aggiunti successivamente altri temi, tra cui quello dei dèmoni protettori e vendicatori. I dèmoni, in quanto partecipi della natura umana, come gli uomini possono essere moralmente giudicati per le loro azioni, e pertanto esistono dèmoni buoni e dèmoni cattivi. Ai primi spetta la funzione di vegliare sui singoli uomini, proteggerli dal male e guidarli fino a Dio; mentre i secondi tormentano l'uomo durante la vita e lo puniscono dopo la morte se ha vissuto in modo empio. Il motivo del dèmone vendicatore è molto comune nella filosofia delle scuole dell'epoca, come del resto la dottrina dei dèmoni in generale ha un ruolo fondamentale in queste filosofie religiose. Nell'ermetismo, in particolare, l'esistenza dei dèmoni malvagi risolve — almeno in apparenza — il problema dell'origine del male nel mondo (problema a lungo e ampiamente dibattuto, e di non facile soluzione).
Un altro dei temi che si sono aggiunti al nucleo centrale della demonologia è quello dell'identificazione dèmone-anima, secondo cui il dèmone costituisce un passaggio del processo di trasformazione dell'anima umana nel suo percorso di ritorno e ricongiungimento a Dio.

Conoscenza e gnosi

Il tema della conoscenza è di grande rilievo nell'ermetismo. Si distinguono due livelli di conoscenza: l'uomo può conoscere il Demiurgo — come essere corporeo, cioè come universo — con la facoltà di conoscenza sensibile; e può conoscere Dio, come bene, verità e bellezza, con la facoltà di conoscenza intellettiva. Conoscere Dio e riconoscere se stessi come derivati da Dio e dotati della stessa natura di Dio, sono gli aspetti fondamentali della gnosi ermetica.
Il Dio supremo è inconoscibile dalla ragione umana, nozione anche questa desunta da Platone (Parm. 142a). Gli ermetici però introducono un concetto nuovo e parlano di un'altra via per giungere alla conoscenza di Dio: una forma di conoscenza del tutto particolare — definita come gnosis — che si attua mediante l'intelletto, termine che sta a significare tanto l'essenza della natura di Dio quanto la scintilla divina insita nella natura umana. L'intelletto è ciò che rende gli esseri umani partecipi della natura divina e al tempo stesso rappresenta una facoltà conoscitiva sovrarazionale, intuitiva, mistica; un canale attraverso cui l'uomo può ricevere, per grazia di Dio, la vera conoscenza intesa come rivelazione salvifica. La salvezza dell'individuo, infatti, è imprescindibile dal conseguimento della vera conoscenza, che insieme al retto comportamento consente il ritorno dell'anima umana alla sua origine, Dio stesso; e la certezza che tale possibilità esiste, la possibilità di ricongiungersi a Dio, risiede appunto nell'identità della natura umana alla natura divina, come si è detto, tramite il principio dell'intelletto.
L'anima di colui che non ha saputo riconoscere la sua vera natura commette il più grave peccato che la dottrina ermetica conosca, la ἀγνῶσια (agnosia — l'ignoranza di Dio e del divino), che è l'opposto della γνῶσις (gnosis — conoscenza di Dio e del divino), ossia gnosi. Due sono le conseguenze di questo peccato: a) l'anima, ignorando la sua vera natura, diviene schiava del corpo; b) l'anima che ignora se stessa non è cosciente della propria ignoranza e quindi ignora anche quale sia il vero bene, e considera il male come bene.
La gnosi è intesa come dono di Dio a coloro che sono pii e devoti. Strettamente legata alla gnosi è la fede. Si giunge alla fede attraverso la rivelazione e poi la gnosi. Chi possiede la gnosi, e può quindi percepire ciò che non è percepibile con l'umana conoscenza, possiede anche la fede, perché «credere significa comprendere» (cfr. IX, 10).
La divinizzazione dell'anima è il fine della gnosi, e al tempo stesso la gnosi ne è il presupposto, insieme alla liberazione dell'anima dai legami corporei.

Vita e morte, anima e immortalità

La morte assoluta, intesa come totale annientamento, non esiste, perché la morte è solo dissoluzione degli elementi: tema tipicamente stoico. Dopo la morte, il corpo e quella parte dell'anima sede delle passioni inferiori ritornano alla natura, dove gli elementi si disgregano e disperdono; invece, la parte superiore dell'anima e l'intelletto salgono verso le sfere celesti, oltrepassandole una ad una e liberandosi d'ogni residuo delle passioni terrene, per ricongiungersi infine a Dio.
Per quanto concerne la generazione e l'evoluzione delle anime umane, è spiegato che da una sola anima, l'anima universale, hanno avuto origine tutte le anime, con un lungo processo di separazione e individuazione che ha portato ciascuna di esse ad incarnarsi in esseri viventi sempre più evoluti, fino all'uomo; dalla condizione umana poi l'anima può elevarsi a quella divina con il passaggio intermedio alla condizione di dèmone. Questo può accadere solo se l'uomo agisce, nell'esistenza terrena, in modo da fugare le tenebre dell'ignoranza e liberarsi del peccato; diversamente, l'anima non potrà godere dell'immortalità, né partecipare al bene, e sarà destinata a ripercorrere la strada all'inverso fino alle creature viventi inferiori. Il peccato maggiore di un'anima è l'ignoranza delle cose divine; al contrario, la virtù maggiore dell’anima è la conoscenza: colui che conosce, infatti, è anche buono, pio, ed è già divino. L'anima virtuosa non chiacchiera molto e ascolta poco: infatti Dio, il Padre, il Bene, non si conoscono né parlandone, né ascoltandone parlare.
Nell'escatologia del CH la risalita dell'uomo "essenziale" al cielo si attua attraverso varie fasi: 1) l'anima si spoglia di tutto ciò che fa parte del mondo materiale; 2) l'anima perviene alla natura ogdoadica, la sfera delle stelle fisse; 3) l'anima giunge alle "potenze", ipostasi divine; 4) attraverso le potenze, l'anima entra in Dio e s'identifica con Lui.
Nel CH si pone la distinzione fra "eterno" e "immortale". Il primo non presuppone né un principio né una fine, mentre il secondo presuppone un principio ma non una fine. Eterno si può dire di ciò che è ingenerato, Dio; immortale di ciò che è stato generato e ha ottenuto l'immortalità.

Reincarnazione

Nel CH è esplicitamente affermata la dottrina della reincarnazione, intesa come un susseguirsi di vite in forme fisiche sempre più evolute, fino alla forma umana, oltre la quale, per l'anima virtuosa, vi è la liberazione e il ricongiungimento a Dio.
In alcuni passi del CH si afferma che non è possibile che l'anima empia di un uomo assuma un corpo animale, in tal modo regredendo: sarebbe Dio stesso a proteggere l'uomo da «un sì grande oltraggio» (cfr. X, 19). Si tratta di una concezione affine a quella delle dottrine indù e presente anche nella letteratura teosofica. Tuttavia, in altri passi del CH, la possibilità della regressione a forme animali inferiori, come punizione per l'anima empia, sembra restare aperta (cfr. X, 8).

Bene e male, destino e libero arbitrio

Posto che Dio nel CH s'identifica con il Bene, il tema del male connaturato con la materia è platonico e ha origine dalla concezione della materia che tende a ritornare nello stato del caos primitivo. Il mondo della materia dunque non è buono. La concezione che Dio solo sia buono e il mondo sia male è comune negli scritti ermetici e sembra contraddire l'altra concezione, altrettanto comune, del mondo come Cosmos, come immagine di Dio, dove Dio è visibile in ogni singola parte. La contraddizione però è apparente e deriva dall'inevitabile dualità di ogni concetto e di ogni aspetto della manifestazione (cfr. Kybalion). Il mondo è buono in quanto creazione di Dio e immagine di Dio, e in quanto capace di generare e sostentare tutte le creature; ma il mondo è pure all'origine del male, perché la capacità di generare — anche il male — è la qualità essenziale della materia, e perché il male è implicito nella natura della materia di essere perennemente soggetta a forze che la trasformano e la sottopongono all'incessante ciclo di nascita/evoluzione/morte/rinascita... Alla concezione dell'origine del male dalla materia si affianca poi, come si è visto, quella relativa all'attività dei dèmoni malvagi.

Qual è dunque lo spazio concesso al libero arbitrio e alla responsabilità morale dell'uomo? La dottrina dell'heimarmene si ritrova nella letteratura ermetica senza nulla di nuovo rispetto alla tradizione stoica, ma la soluzione che si dà del problema del rapporto fra destino e libero arbitrio, e del valore morale delle azioni umane, è tipicamente gnostica e si allontana completamente dalla soluzione stoica. La soluzione è questa: l'uomo è soggetto al destino per tutto ciò che riguarda la sua natura corporea, ma è libero nel suo intelletto che partecipa della stessa essenza di Dio.
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